#TFF34 – Vetar, di Tamara Drakulic

Vetar, nonostante un talento di base innegabile, pecca di un less is more eccessivo e di contemplazioni visive evitabili. In Concorso.

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La cineasta Tamara Drakulic sbarca nuovamente al Festival di Torino, questa volta in concorso, dopo Okean, presentato nella sezione Onde del 2014. Vetar (Wind), proprio come il precedente, manifesta il pressante appetito della regista per spazi e tempi morti, camere fisse lasciate in attesa (o forse no) di un qualche sviluppo. Mina è un’adolescente in vacanza con il padre sulla costa baltica. La sua frustrazione è evidente. Avrebbe preferito un albergo di lusso piuttosto che una landa sabbiosa che chiunque considera un Paradiso, ma che per lei equivale all’Inferno sulla terra. Tuttavia, l’incontro con un giovane istruttore di Kite Surf movimenterà il suo soggiorno.

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L’apparato visivo della Drakulic trabocca di suggestioni. Incantata da quella pianura talvolta ondeggiante, dagli stormi di gabbiani e da tutte le specie che attingono dalle saline della zona, ogni pillola di intreccio narrativo viene beatamente spezzata a favore di una fame evocativa. Mina, Tamara Stajic, è avvolta in un torpore caldo, ozioso, che frena ogni tentativo motorio. La sua saggezza, ascia di guerra contro il padre, non è altro che prudenza infantile, vergogna nel dimostrarsi inesperti. Eppure dimostra un’ intelligenza vivace, curiosa degli aspetti più insondabili dell’universo, come ci dimostra l’incipit della pellicola. Immobile, a

1450871365vetar-004differenza di chi le sta attorno, Mina si lascia cullare da quel vento che tutti inseguono. Di fatti, l’occhio registico si apre nella direzione di campi lunghi lasciati a decantare, dove il movimento è penalizzato solo dalla lenta crescita della giovane. In ogni caso perfino lei, nel suo angolo, è parte integrante di quella landa. 

Non appena il coming of age si affaccia alla sua finestra, Mina sperimenta una serie di emozioni contrastanti. Il desiderio, sempre osteggiato nei battibecchi con il padre a causa della gelosia per la sua compagna, viene a galla quando l’istruttore e la sua ragazza si lasciano andare a effusioni sentite. La Drakulic, intelligentemente, disegna quelle scene passionali con un tratto timido e incerto. Quei baci, così innocenti, non sono forse parte dell’immaginazione di Mina, di una fantasia prettamente adolescenziale? Vetar, nonostante un talento di base innegabile, pecca di un less is more eccessivo e di contemplazioni visive evitabili. Probabilmente una durata maggiore avrebbe aiutato la Drakulic a sviluppare meglio un’urgenza espressiva ancora troppo autoreferenziale.

 

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