THE BIG SHAVE – di Giulia Arbace
Quando si parla di un grande regista cinematografico, specie se si tratta di uno di quelli che mietono successi da decenni, spesso si tende a citare tutti i suoi film più famosi e un po' meno spesso le opere degli esordi, solitamente meno conosciute, di breve durata, ma altrettanto importanti. Fortunatamente negli ultimi tempi è stata rivalutata anche l'importanza del cortometraggio e la curiosità di vedere quei pochi minuti d'autore, diretti magari da chi ancora non poteva essere definito tale, aumenta sempre di più, riservando a volte delle piacevoli sorprese. È il caso di Martin Scorsese, con il suo The Big Shave (letteralmente, La grande rasatura), un breve filmato di sei minuti, premiato tra l'altro con il Prix de l'Age d'Or al Festival del cortometraggio di Knokke-Le Zoute. La trama è di una semplicità e nello stesso tempo di una crudeltà quasi disarmanti. Un uomo (l'attore Peter Bernuth) si fa la barba davanti ad uno specchio. Pian piano la lametta affonda intenzionalmente sempre di più nella sua pelle, ferendolo in profondità ed inondando il suo corpo e il lavandino immacolato di rivoli di sangue che scendono giù sempre più copiosi.
Raccontata così la scena suscita facilmente un senso di grande fastidio, vicino al disgusto; ma così è troppo semplice. A guardarli bene infatti questi fotogrammi nascondono un autore già ben consapevole delle armi a sua disposizione, desideroso e capace di provocare le reazioni più diverse, ma certamente mai banali. Anzi curiosamente in questo filmato si arriva quasi al paradosso. A partire dal luogo in cui si svolge tutta l'azione, il bagno: il sociologo Erving Goffman definiva questa stanza parte di un retroscena, una sorta di "dietro le quinte" della nostra vita, quindi ovviamente nascosto alla visuale di altre persone. Non stupisce dunque che vederla lì, filmata in tutti i suoi dettagli, possa inevitabilmente procurare un certo disagio; cosa di cui doveva essere consapevole anche Hitchcock, quando diede forma alla sua dissacrante perversità riprendendo proprio l'azione e il suono di un gabinetto in una delle scene di Psyco. Sono passati solo sette anni ed eccoci di nuovo in bagno, questa volta con Martin Scorsese che non risparmia nulla, dal water ai rubinetti, tutto immerso in un bianco asettico in cui si inserisce perfettamente il protagonista con la sua candida maglietta bianca. Tra i due momenti, il fastidio della visione per così dire proibitiva e la cruenta rasatura, si interpongono pochi, brevissimi istanti in cui la sensazione è quella di trovarsi davanti alla pubblicità di una schiuma da barba, grazie anche alle note di "I Can't Get Started" dei Rolling Stones (eseguite per l'occasione dal trombettista Bunny Berigan) che in realtà non sono altro che il ricercato contrappunto alla violenza fisica e psicologica che l'uomo dal look un po' "happy days" si auto infligge.
Dopo un breve sconcerto iniziale non è difficile immedesimarsi con un assurdo senso di compiacimento misto a quel senso di disagio che proprio non ci abbandona. In un ambiente così immacolato tagliarsi via una barba che non è né lunga né corta e tutto lo strato epiteliale che c'è sotto potrebbe essere quasi piacevole. Cosa c'è di meglio di una così profonda pulizia? Forse, non pagarne il prezzo con la vita.
Questo cortometraggio, il terzo nella carriera dell'autore, fu girato nel 1967, ovvero mentre l'America stava ancora combattendo contro il Vietnam, che aveva invaso sei anni prima; per questo motivo spesso lo si associa ad una forma di polemica da parte del regista nei confronti della politica internazionale statunitense. Per un regista non è assolutamente anomalo intervenire su una sceneggiatura con le proprie idee, inserendo un che di assolutamente personale. Nel caso di Scorsese però si può parlare tranquillamente di conditio sine qua non. Poco tempo dopo infatti, nel 1970, distribuì Street Scenes (Scene di strada), un documentario di settantacinque minuti in cui mostrava la marcia di protesta di alcuni cortei studenteschi contro l'invasione della Cambogia avvenuta lo stesso anno da parte delle truppe americane. E allora non appare più così strano che anche un breve filmato come The Big Shave girato intorno ad un unico gesto, il più quotidiano per un uomo, possa essere stato ispirato da una vera e propria forma di contestazione. Una cosa in effetti è innegabile: se il cinema è un linguaggio, allora Martin Scorsese, che con i suoi film ha detto e sta dicendo tuttora davvero molto, ha realizzato un cortometraggio con un messaggio importante: si potrebbe fare una bella rasatura generale, la prima lama solleva il pelo, la seconda taglia via tutte le vite…ehm, i vizi.
Giulia Arbace