The Souvenir, di Joanna Hogg

The Souvenir di Joanna Hogg, presentato al Sundance, è ambientato negli anni 80. Partendo da una traccia autobiografica racconta di una studentessa di cinema innamorata di un uomo pieno di segreti

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Temporaneo e instabile quanto una relazione appena nata, The Souvenir, presentato al Sundance, continua a percorrere una strada che Joanna Hogg ha intrapreso fin dai tempi di Exhibition (2013), e spinge sempre più  ai margini la rappresentazione nonsense della famiglia tradizionale, muro portante dei primi lavori dietro la macchina da presa. L’indagine sposta l’angolazione, se non in rotta di collisione, in assonante divergenza con il passato, focalizza l’attenzione sopra tracciati umani alternativi, scivolosi ed improbabili, per il racconto verosimile di una qualsiasi storia d’amore.

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Lo sguardo rispetto al precedente film resta claustrofobico, condizionato dalle strutture architettoniche moderne, l’impianto razionale trasformato in una sacca emotiva. Il contenitore ideale per evidenziare le fragilità dentro la sagoma incolore e naturalmente distaccata. Un ambiente urbano algido, inappuntabile, in perfetto stile british, ricostruito prevalentemente in interno, creato per nascondere le scorie ed ottimizzare gli spazi, settato su un codice neutro che si tinge assecondando gli umori della scena. La distanza deriva da un ripiegamento accentuato verso un discorso autobiografico, nella Londra degli anni ’80, durante il periodo di formazione alla Scuola di Cinema. Nelle location esterne viene fuori un discorso meno intimo, universale, e la campagna di Norfolk con il cielo che schiaccia in basso l’orizzonte della vista, a farsi beffe delle miserie umane nel suo ineluttabile destino. Con una voce epistolare fuoricampo che applica i punti di cesura necessari a ridurre lo scarto illusorio ed assorbire lo scollamento. Contemporaneamente, sfuggendo al perimetro individuale, affronta tematiche come l’immigrazione, il terrorismo ed il condizionamento operato sopra l’opinione pubblica da una tecnologia ormai pronta a divenire via via più invasiva.

Julie (Honor Swinton Byrne) è una studentessa in procinto di realizzare un lungometraggio, che si innamora di Anthony (Tom Burke), un uomo piuttosto enigmatico, tossicodipendente, che si spaccia per agente segreto. La storia va avanti qualche mese, proprio a ridosso del Natale. Mentre accompagna lo spettatore nella conoscenza dei protagonisti, attraverso continui tête-à-tête, gli approcci all’interno di un locale pubblico, la successiva convivenza, il mondo viene descritto di rimbalzo, il substrato comune nel quale la raggiunta complicità li porta a galleggiare, uscendo dall’ombra di un’epoca storica per sostare in una bolla. I dialoghi restano cruciali anche per allargare la platea dei personaggi, inseriti nei numerosi incontri conviviali, vuoi con i rispettivi nuclei familiari o con altri aspiranti artisti. Singolare che ad interpretare il ruolo della mamma di Julie, Rosalind, ci sia Tilda Swinton, che è la vera madre di Honor, un’attrice legata alla Hogg sin dagli esordi, come protagonista del suo progetto di laurea, Caprice.

I ridottissimi movimenti di camera favoriscono la percezione di un flusso mnemonico, che procede tra salti temporali minimi in un’atmosfera anestetizzata soprattutto dalle musiche diegetiche. Su tutte risaltano gli estratti da La forza del destino di Giuseppe Verdi, alternati ad una colonna sonora piena di nomi come Bauhaus, Robert Wyatt, The Pretenders che servono da raccordo con un presente lontano ed attenuare la sensazione di una scissione in atto con il reale, sottolineata da un montaggio eterodosso. Il rigore, la pulizia delle immagini, l’eleganza dei costumi collassano, sovrastate da una densità psicologica che si sporca nella debolezza dei corpi, nella loro vulnerabilità, nel pericolo di scoprire la propria anima davanti ad uno sconosciuto. The Souvenir ha i tratti inconfondibili della cinematografia d’oltremanica, ma sceglie di risolvere l’analisi sociale quasi nell’assenza di conflitto di classe, con la presa di coscienza di una guerra ormai vinta dal capitalismo. Da salvare perché riesce a suggerire l’attualità di un contesto lontano, per la forma di narrazione originale e per l’impeccabile mancanza di autocompiacimento.

 

Titolo originale: id.
Regia: Joanna Hogg
Interpreti: Honor Swinton Byrne, Tom Burke, Tilda Swinton, Richard Aoyde, Jaygann Ayeh, Jack McMullen
Durata: 119′
Origine: USA/Gran Bretagna, 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
2 (10 voti)
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