"Uno zoo in fuga" di Steve 'Spaz' Williams

L'incipit è davvero straordinario, i colori sono stupefacenti, il rosso fuoco che dipinge la savana ha una potenza aggressiva tale che profonde allo sguardo un piacere di rara intensità. Il film perde però subito dopo gran parte del suo interesse.

--------------------------------------------------------------
INTELLIGENZA ARTIFICIALE PER LA SCENEGGIATURA, CORSO ONLINE DAL 28 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Steve 'Spaz' Williams dopo anni trascorsi ad occuparsi di effetti speciali – sono sue creature The Mask – Da zero a mito e Terminator 2 – esordisce alla regia, dirigendo un film d'animazione targato Disney. Uno zoo in fuga uscito in questi giorni nelle sale, ricalca in gran parte Madagascar – della Dreamworksnel descrivere le (dis)avventure di un gruppo di animali fuggiti dallo zoo. In questo film la fuga è resa obbligatoria perché Ryan, leoncino insicuro ed incompreso, offuscato dalla figura (falsamente) mitica del padre Samson finisce per errore in un'isola africana e Samson, insieme ad una giraffa, un koala, uno scoiattolo ed un serpente, si butta anima e corpo alla sua ricerca. L'incipit è davvero straordinario, quando Samson racconta a Ryan il suo passato da re della savana: il flashback è una sorta di ritorno alle origini per il leone, ma anche per la Disney stessa, perché il disegno non è "digitalizzato", ma semplicemente "animato" e bidimensionale con un tratto imperfetto e naif. I colori sono stupefacenti, il rosso fuoco che dipinge la savana ha una potenza aggressiva tale che profonde allo sguardo un piacere di rara intensità. Un avvio assolutamente "selvaggio". Il film perde però subito gran parte del suo interesse. La computer grafica utilizzata da Williams è senza dubbio tecnicamente perfetta (il manto del leone conta oltre sei milioni di peli elaborati in digitale uno per uno), gli animali sono ad un passo dal trasformarsi in "carne", i grattacieli in "cemento" e l'oceano in "acqua". Ma questa perfezione visiva non avvicina le immagini alla sensibilità dello sguardo, sortisce invece l'effetto contrario: si ha un'impressione di freddezza, di distacco, quasi di repulsione per tanta lucida e calcolata precisione digitale. Le parti coreografiche sono pressoché inesistenti, mancano i balletti e le canzoni che in passato, sono stati marchio di fabbrica di casa Disney.

--------------------------------------------------------------
CORSO IN PRESENZA MONTAGGIO AVID, DAL 9 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

I temi trattati poi sono solo accennati e tale mancanza stupisce se si pensa che la Disney ha sempre voluto dare una forte impronta pedagogica – ad eccezione del lisergico Alice nel paese delle meraviglie  alle sue produzioni. Il rapporto tra Samson e Ryan ad esempio non trova pieno sviluppo e il senso di inadeguatezza ed inferiorità del piccolo leone non viene portato chiaramente alla luce, ma solo mostrato in pochissime sequenze che non riescono a dar corpo al disagio interiore del leoncino. Delude il finale, con tutti i protagonisti che lasciano l'isola dove il vulcano sta per eruttare, per tornare alla casa madre – lo zoo di New York – con una barca a motore, sorta di Arca di Noè contemporanea: la libertà viene strangolata in favore di un più sicuro luogo dove poter vivere. La cattività degli animali viene così istituzionalizzata (Disney docet) e questa ciliegina sulla torta potevano tranquillamente risparmiarcela.


 

Titolo originale: The Wild


Regia: Steve 'Spaz' Williams


Distribuzione: Buena Vista


Durata: 84'


Origine: USA, 2005

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array