VENEZIA 62 "La dignidad de los nadies", di Fernando E. Solanas (Orizzonti)

Cinema politico, che forse in modo troppo calcatamente populista vuole emozionare e coinvolgere. Qualche volta riuscendoci. Ed è il reale a farla veramente da padrone in questo film-documentario, in cui manca quasi completamente la fiction cinematografica, presente solo attraverso la scansione in episodi e una voce narrante esterna

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C'è l'Argentina che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni in questo film di Solanas, presentato nella sezione Orizzonti a Venezia. L'Argentina della crisi economica, simbolo di un capitalismo giunto alla sua implosione. Ci sono le storie disperate dei singoli che si incrociano, anzi si innestano, su quella collettiva di una comunità, di un Paese che trova nella crisi il motivo di un rinnovato orgoglio, lontano, però, da ogni inutile patriottismo o da troppo facili compiacimenti nazionali. Un'Argentina diversa da quella che abbiamo sempre immaginato come teatro di balletti di tango e meta di italiani migranti. Eppure all'Italia non possiamo fare a meno di pensare quando scorrono le immagini del film, e non per ragione storiche, non per ciò che è stato fin qua, ma per ciò che forse sarà. A Buenos Aires come a Genova, al dissenso si risponde con la morte.

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Di un cinema politico certamente si tratta, che forse in modo troppo calcatamente populista vuole emozionare e coinvolgere. Qualche volta riuscendoci. Così commuovono i volti affamati di bambini già adulti, la speranza di chi, ammalato, combatte per preservare la propria vita e rimanere su questo mondo, per quanto infame sia. Le battaglie e le piccole vittorie di chi, nonostante tutto dimostri il contrario, rimane convinto che cambiare la realtà sia davvero possibile. Ed è il reale a farla veramente da padrone in questo film-documentario, in cui manca quasi completamente la fiction cinematografica, presente solo attraverso la scansione in episodi e una voce narrante esterna (che è poi quella del regista stesso) che accompagna immagini pregnanti come il racconto proprio non riesce ad essere.  


Così al cinema, a questo cinema, rimane ben poco, intrappolato com'è da una realtà più forte e crudele. Non l'invenzione, non la rielaborazione di un dato che c'è, né la possibilità di un reale intervento, di una concreta modificazione di ciò che è così, ma potrebbe essere altrimenti. Non al cinema il compito arduo, ma alle lotte che ciascuno quotidianamente può portare avanti. Al cinema solo la possibilità di guardare, interrogare, riprendere. Non è molto forse. O forse sì. Soprattutto quando è la televisione a selezionare e scegliere cosa dire, cosa far sapere. Quando vogliono continuare a farci credere che viviamo in una condizione di diffuso benessere.

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