Disco Afrika: une histoire malgache, di Luck Razanajaona

Con uno stile semplice ed essenziale, attraverso la ricerca identitaria del suo protagonista, il regista malgascio ricostruisce la dolorosa storia di lotte politiche per la libertà del suo paese

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Direttamente dal Generation 14plus della 74esima Berlinale, sbarca in concorso al 33esimo FESCAAAL di Milano Disco Afrika: une histoire malgache, il primo lungometraggio di Luck Razanajaona, che si propone di raccontare l’identità storica, sociale e culturale del suo paese: il Madagascar.

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“L’isola rossa”, appellativo relativo al colore del suolo ricco della sostanza laterite che tinge anche le acque dei fiumi, arrivando fino al mare, è (ed è stata) una terra di guerre, di violenze e di soprusi nei confronti della popolazione inerme. Il sangue dei malgasci, da sempre, scorre sulla terra e tra le acque del Madagascar: l’isola rossa.

Una storia di sangue e di lotte politiche, che parte dai tumultuosi anni Settanta, con il consolidamento di un fortissimo sentimento panafricano, l’intensificarsi di lotte per la libertà, e che arriva fino ai giorni nostri, dove la corruzione e le violenze tra polizia e gruppi paramilitari pro-democrazia regnano ancora sovrane.

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Luck Razanajaona cattura l’istantanea dell’attuale situazione politica del suo paese partendo dagli occhi di Kwame, un giovanissimo cercatore di zaffiri che condivide con il suo amico Rivo il sogno di un futuro migliore altrove. Lui in Francia, il suo amico a casa, a Tamatave. Durante un’incursione notturna della polizia, i due giovani minatori vengono colti alla sprovvista in un territorio confiscato e Rivo viene ucciso a sangue freddo. L’omicidio dell’amico e il relativo senso di colpa, spinge Kwame a tornare dalla madre al suo villaggio natale nel quale inizierà un viaggio tra i ricordi del padre, militante politico e frontman del gruppo musicale Tout Puissant Africa Voice, anche lui ucciso per mano della polizia in circostanze misteriose quando Kwame era appena nato.

Con uno stile semplice ed essenziale, il regista traccia una profonda linea di continuità nell’arco storico delle vicende politiche legate al suo paese. Continuità impersonificata dalla figura del suo giovane protagonista. Kwame, in un primo momento, scava letteralmente la terra del suo paese alla ricerca di zaffiri e ricchezza. Ma questo suo scavare assumerà una dimensione diversa, metaforica, alla ricerca del burrascoso passato del suo paese.

Il passato come cicatrice ancora visibile, mai del tutto rimarginata, presagio di morte che aleggia nella vita di un popolo che cerca la propria strada, il proprio futuro di libertà. Kwame si trova nel mezzo di una lotta tra trafficanti arricchiti e milizie democratiche, portando avanti la sua personale indagine sulla scomparsa del padre. Vuole ritrovare il luogo in cui è stato seppellito dalla polizia e dove nessuno l’ha mai più cercato. Ma quest’indagine assume con il passare dei minuti una connotazione identitaria, recuperare le proprie origini significa scoprire la propria strada, per Kwame così come per tutto il popolo malgascio. Non è un caso che la maggior parte dei manifestanti, quelli che lottano per un futuro di pace e amore, siano quasi tutti poco più che dei ragazzini, accomunati dalla speranza e dalla volontà di costruire un avvenire diverso per la terra che amano e che ha sofferto per tutta la sua storia.

“Scavando a fondo per qualche tempo, ho cercato di trovare la mia strada. Ora so che non è dalle pietre che si ottiene il proprio valore, ma dalle anime coraggiose che ti hanno dato il loro sangue. O paese mio, Madagascar, mi impegnerò per meritarti.”

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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