VENEZIA 62 – "Tracce sulla terra (Yadasht bar Zamin)", di Ali Mohammad Ghasemi (Settimana della Critica)

Esordio alla regia di un direttore della fotografia iraniano (in precedenza ha girato solo cortometraggi), grido disperato e cadenza ossessiva "estranea" alla cinematografia del suo Paese. E' un sussulto tra le nebbie, tra le acque e la neve alta, tra il bosco avvolgente che apre spiragli di reflusso e di rinnovamento futuribile.

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Esordio alla regia di un direttore della fotografia iraniano (in precedenza ha girato solo cortometraggi), grido disperato e cadenza ossessiva "estranea" alla cinematografia del suo Paese. L'incubo di un padre assassino per "volere di Dio", deciso ad eliminare tutti i bambini di un piccolo villaggio delle alture, dopo la morte di suo figlio ancor prima di aprire gli occhi subito dopo il parto. Oltre alle evidenti influenze stilistiche provenienti da modelli e generi inusuali per l'Iran (vedi richiami più o meno espliciti alla cinematografia sovietica, alle atmosfere gotiche dell'horror americano o alla sospensione visiva nipponica), la folle realtà del fanatismo religioso e ideologico dei nostri giorni trova espressione tra l'uso espressionistico della luce e dei cromatismi. Cinema declamante, che con una forma di soggettività narrativa spezza i dialoghi e frammenta il disegno divino. La creazione dell'autore si oppone al piano di quest'uomo delirante, strumento in mano ad un ente supremo che esprime solo potenza e non gratuità. Il dono del mondo è lontano dagli uomini che soffrono e si disperano, è inconcepibile per chi rinnega ogni forma di riconoscenza attraverso la progettualità (i bambini sgozzati), la pianificazione di quell'atto creativo da condividere tra i popoli. Attraverso i pensieri e occhi che non vedono o che troppo spesso sono rivolti in alto, la visionarietà del giovane regista si conceda slanci estetizzanti non sempre compattabili, ma emblemi figurativi e narrativi di una dimensione sfalsata dal dominio della vanità e della volgarità terrena. Dio ha portato via il proprio figlio per sottrarlo da questo mondo che non avrebbe potuto essere o essere diversamente. La strada è tracciata da una missione che va compiuta senza ottenere spiegazioni: questo cinema non si ferma dinanzi a quel minimalismo percettivo che avrebbe placato spettacolarizzazioni corrompenti. E' un sussulto tra le nebbie, tra le acque e la neve alta, tra il bosco avvolgente che apre spiragli di reflusso e di rinnovamento futuribile. Tracce di vita o di morte: delirio che Herzog ha racchiuso a Venezia sotto un cielo di ghiaccio…

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