VENEZIA 63 – "Yi Nian Zhichu" (Do Over), di Cheng Yu-chieh (Settimana della Critica)

Leggero, contorto e poetico volo di farfalla, sospeso tra il senso del reale e il senso del possibile. Il giovane regista taiwanese, al suo primo lungometraggio, incanta e sorprende: spazio che manca e fragilita' di un cinema desiderato in ogni istante, che blocca il traffico per girare l'ultima scena e compenetra il sogno di una vita.

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La sezione dedicata ai nuovi autori del cinema regala un leggero, contorto e poetico volo di farfalla, sospeso tra il senso del reale e il senso del possibile. Nato nel 1977, Cheng Yu-chieh viene da Taiwan e Do Over e' il suo primo lungometraggio, dopo aver girato due cortometraggi nel 2000 e nel 2001. Dalla terra del grande Tsai Ming-Liang, questa stupefacente sorpresa di Venezia ha vinto il festival di Taipei e soprattutto rievoca atmosfere magiche e sempre in bilico tra il sogno del cinema e il cinema che sogna. A cavallo del nuovo anno (il titolo originale in italiano potrebbe essere tradotto L'inizio di un anno) il cinema s'inceppa e si contorce sulla linea della vita e della morte, del nuovo e della fine. Ritornano alla memoria le ossessione warholiane sulla morte: foto di uomini che saltano dai palazzi, monoliti bianchi separati nettamente dal nero dell'ignoto. Sulla linea della fine, danza Do Over, che non trova l'inizio e si ripete, si riscrive, ci ripensa. Essere ancora vivi, anche dopo il salto nel vuoto: trapassare senza morire, non ancora, per vivere un'intera vita nuova. Un giovane regista e' alle prese con il controverso finale del suo film e con il fratello maggiore, boss della mafia cittadina, che si sente minacciato da tutti; un timido assistente sul set cerca di dichiarare il suo amore alla star del film; uno degli uomini del boss, immigrato clandestino, vuole che gli sia finalmente dato il passaporto per andare a trovare il padre malato; un piccolo spacciatore trascorre la notte di capodanno in discoteca, sospeso tra droghe e vuoti di memoria, mentre una sua amica incontra il giovane regista e si spinge con lui in un viaggio fuori dalla realta'. Il destino di tutte queste persone e' in bilico sulla notte di capodanno, sospeso tra cio' che e' stato e cio' che sara' delle loro vite. Cinema compenetrante: c'e' un film in ogni film, c'e' un film in ogni vita, c'e' una vita in ogni film e c'e' un film che rinasce nel film e una vita che si reincarna nella finzione. Strutturato con salti cronologici e frammenti disgregati della memoria, Do Over e' una catena di inizi e di fini, come l'esistenza che si reincarna ogni giorno, senza un centro, ma dispersa nel volo di una farfalla che vorremmo inchiodarla per sempre nella nostra mente. Battere le ali e' energia che manca ma anche energia che trovi, fermare il tempo e' energia che sprechi, ma anche energia che conservi per sempre. Il tempo di Do Over e' lo spazio che manca e' la fragilita' di un cinema desiderato in ogni istante, che blocca il traffico per girare l'ultima scena, l'ultima scena che non arriva mai, che si ripete fino alla fine, tra ripensamenti e rinunce. Bloccata e inceppata, la magia di questo cinema si apre improvvisamente, lasciando saltare il tappo e scoprendo la vivida e pulsante luce della notte, una passeggiata sull'altro lato della luna, il lato meno oscuro dove lo spazio si ferma e il tempo si espande. 

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