VENEZIA 64 – "Zui Yaoyuan De Juli (La maggiore distanza possibile)" di Lin Jing-jie (Settimana della critica)

Il racconto scritto riesce mirabilmente ad aprirsi in uno spazio interiore ricco di derive e pietas umana per un film che se sulla carta poteva rischiare di apparire fragile e inespresso, si rivela al contrario magnificamente etereo, sospeso nel confine che spesso separa il dolore dall’amore. In alto. Oltre la carne e la terra. Dalla ‘Settimana della critica’ arriva uno dei film più convincenti in assoluto di questa Mostra del cinema veneziana.

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Dalla ‘Settimana della critica’ arriva uno dei film più convincenti in assoluto di questa Mostra del cinema veneziana. Zui Yaoyuan De Juli (La maggiore distanza possibile) segna l'esordio del regista Lin Jing-jie, che conferma l’interessante sviluppo cinematografico di Taiwan,  dopo che lo scorso anno il sorprendente Do Over ci aveva già illuminato sulle nuove e sorprendenti traiettorie di questo paese. Il tecnico del suono Xiao Tang continua a spedire, per posta, le registrazioni dei rumori dei luoghi che lui e la sua ex ragazza hanno in passato visitato durante la loro storia d’amore. Le cassette registrate vengono però ascoltate da Xiao Yun, una giovane donna che ha appena vissuto un’infelice relazione amorosa. La ragazza decide così di mettersi in viaggio in cerca dei luoghi reali di quei suoni e forse anche dello sconosciuto Xiao Tang, che nel frattempo decide di intraprendere il medesimo viaggio. Qui il ragazzo si imbatterà in Cai, psichiatra generoso ma  abbandonato dalla moglie.

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L’utilizzo di storie parallele che s’incontrano brevemente per poi disperdersi, rinnega qui ogni formula emotivamente ricattatoria o aprioristicamente compiaciuta – alla Inarritu per intenderci – per costruire tassello dopo tassello una partitura invisibile di rapporti umani e contatti inespressi. In Zui Yaoyuan de Juli il racconto scritto riesce mirabilmente ad aprirsi in uno spazio interiore ricco di derive e pietas umana. Ed è proprio grazie al cinema, o più precisamente alla sua dimensione sonora, che secondo il cineasta taiwanese è ancora possibile cercare di comunicare con l’altro, raggiungendo un nuovo grado di empatia interiore. Lin Jing-jie confeziona il suo film con una poeticità ispirata e allo stesso tempo la maturità estetica di chi non vuol stupire lo sguardo altrui, ma semplicemente cercare dentro di sé un contatto col mondo. Un film che se sulla carta poteva rischiare di apparire fragile e inespresso, si rivela al contrario magnificamente etereo, sospeso nel confine che spesso separa il dolore dall’amore. In alto. Oltre la carne e la terra.

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