VENEZIA 65 – "Quello che conta è che si resti nell'ambito della realtà ", incontro con Semih Kaplanoglu

Il regista turco Semih Kaplanoglu presenta, nella principale sezione della Mostra veneziana, Süt seconda parte della sua trilogia a ritroso che racconta del personaggio Yusuf. Era dal 1991 che un film turco non entrava a far parte della sezione del concorso e Semih Kaplanoglu appare uno dei rappresentanti di questa nuova schiera di registi quarantenni attivi in Turchia.

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Che rapporto esiste tra questo suo film e il precedente Yumurta?

Questo è il secondo capitolo della trilogia e mentre il precedente raccontava della maturità di Yusuf, in questo secondo capitolo vediamo il personaggio nell’età di passaggio dalla giovinezza all’età adulta. Il terzo capitolo guarderà alla vita di Yusuf da bambino. Ho concepito questo lavoro a ritroso, ma non intendevo, sin dall’inizio, farne una specie di serial. Quando ho immaginato la storia l’ho pensata come tre film distinti e differenti in cui è inevitabile che esistano delle correlazioni, alcune cose che ritornano, ma nella differenza tra le tre opere.

 

Perché realizzare questa trilogia a ritroso?

Gli psicanalisti ci dicono che è necessaria la regressione, un ritorno alle nostre età precedenti, io ho tentato di mettere in pratica questo insegnamento attraverso il cinema e questo viaggio andrà avanti fino a quando Yosuf sarà un bambino davvero molto piccolo.

 

Ci può spiegare qual è il significato del serpente che ritorna nel suo film?

Nei miei film non sono mai in cerca della simbologia, quello che conta è che si resti nell’ambito della realtà, anche se non mi dispiacerebbe mostrare anche delle cose che stanno al di là realtà su un terreno metafisico. In realtà esistono molti codici che possono accompagnare i concetti che si esprimono e ciascuno utilizza i propri, ma per quello che riguarda la domanda preciso che non c’è alcuna intenzione simbolica che intendo esprimere per mezzo del serpente.

 

Nel suo fil c’è come una sospensione degli eventi, una stasi di fondo, è come se tutto apparisse incompiuto. Si tratta di un intento metaforico rivolto al suo Paese?

In realtà è vero, c’è quest’aria di attesa. Ho creato volutamente questo tipo di situazione. Nella nostra cultura abbiamo sempre qualcosa che torna e ritorna. Esistono dei contrasti, esistono le incertezze: siamo orientali o no? Siamo laici o no? In altre parole spesso non sappiamo dove andare. Il mio personaggio è frutto di queste contraddizioni, anche lui non sa dove andare, è giovane e ha molte possibilità di scelta davanti a se, ma la gioventù non è un periodo semplice e personalmente ricordo la mia proprio sotto questa luce.

 

Proprio in rapporto a questi argomenti relativi al passaggio dalla gioventù all’età adulta, quel’è stato il suo lavoro sull’identità maschile in rapporto alla figura della madre?

Ho l’impressione che la modernizzazione e la secolarizzazione ci abbiano portato ad avere dei modelli che però evolvono in una dinamica continua. Nel cammino dalla gioventù alla maturità ci si aspetta che un uomo faccia delle cose e questo crea sempre dei problemi.

 

Ma il rapporto madre – figlio influenza molto la società turca?

Nella nostra società il concetto di madre è sacro. La patria è la mamma e la parola “patria” contiene in se quello di madre. Si comprende quindi che il rapporto madre – figlio è molto importante per la nostra cultura e rappresenta una chiave di volta decisiva per comprendere la società turca. Anche se poi la nostra è una società prevalentemente maschile. Poi naturalmente c’è l’amore della madre per il figlio, ma comunque, pur con tutte queste cose, l’indipendenza dei giovani sta diventando nella nostra cultura un tema centrale attorno al quale esiste un costante dibattito.

Il terzo film della trilogia a quando e quanto è stato il costo dell’operazione?

Spero che si possa cominciare a girare nella prossima estate, almeno questi sono i progetti e invece quanto al budget credo che, salvo imprevisti, saremo intorno ai 3 milioni di euro.

 

Il cinema turco torna in concorso qui a Venezia per la prima volta dopo il 1991 esiste, secondo lei, una nuova onda del cinema turco?

Si, credo che si possa parlare di una nuova onda di registi turchi. C’è una nuova generazione di registi tutti intorno ai quarant’anni, che sono giovani secondo me, che hanno iniziato ad avere voce in capitolo. Fino alla fine degli anni ’90 si giravano pochissimi film. La nostra generazione ha ravvivato il panorama del cinema turco. Di conseguenza questi film partecipano ai festival e anche la televisione li compra e questo è positivo. Le opere, poi, mi pare che contengano una varietà di temi che non riguardano solo quelli della politica.

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