VENEZIA 66 – "Great Directors", di Angela Ismalios (Fuori concorso)

Great Directors

Troppi 10 registi di quel calibro da raccontare in 90 minuti e qualcuno di loro appare poco più che una comparsa con la regista troppo spesso sullo schermo anche senza motivo. Più che di un lavoro critico e appassionato, questo documentario appare come un’operazione nozionistica e svogliata. Così svogliata che rasenta un capriccio personale.

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Great DirectorsI documentari sui cineasti – in particolar modo quelli che si amano – sono quelli che riescono ad avere un immediato impatto sullo spettatore. A due condizioni però: che si sappiano fare e soprattutto che i registi vengano lasciati parlare. La forma di Great Directors è quella tipica che alterna interviste agli autori e spezzoni dei film più rappresentativi. Quello che Angela Ismalios vuole fare è cogliere la natura e lo spirito di 10 autori viventi: Bertolucci, Breillat, Cavani, Frears, Haynes, Lynch, Linklater, Loach, Sayles e Varda. Ovviamente in questo percorso non mancano momenti divertenti (il racconto di Bertolucci che la prima volta che ha visto Pasolini lo ha lasciato chiuso fuori di casa perché pensava che fosse un ladro) e dichiarazioni d’autore (Lynch che si sofferma sul fatto che dopo Fellini, Wilder, Kubrick e Hitchcock il cinema ha dimostrato che si potevano creare delle cose che prima non erano possibili, l’effetto di Una vampata d’amore di Bergman sulla Breillat). E ogni cineasta, brevemente, ripercorre i momenti più importanti della loro carriera, in particolari gli esordi (Frears e Loach si soffermano anche sulla loro attività televisiva). Eppure tutto questo non funziona. Great Directors appare infatti come un riassunto sfiatato e superficiale. Sono infatti troppi 10 registi di quel calibro da raccontare in 90 minuti. E di conseguenza, di alcuni resta poco più di una fugace presenza come nel caso di Linklater, Sayles e la Cavani. C’era infatti il tempo necessario per uno solo di questi. La struttura è poi schematica, le domande molto spesso sono banali e l’unico interesse di questo lavoro è dovuto esclusivamente alle risposte dei cineasti. La Ismalios poi tende a mettersi sullo schermo in modo invadente senza che ci possano essere delle motivazioni essenziali come può avvenire per Michael Moore. Spesso è nell’inquadratura assieme al regista, lì ferma a scuotere la testa. C’è poi un immagine in bianco e nero con lei vicino al Vaticano dopo che si è parlato dei problemi della censura di Ultimo tango a Parigi. Più che di un lavoro critico e appassionato, Great Directors appare un’operazione nozionistica e svogliata. Così svogliata che rasenta un capriccio personale.
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