VENEZIA 69 – "Kuf (Mold)", di Ali Aydin (Settimana della critica)

Ali Adyn racconta con delicatezza e abilità la storia di un uomo che vive nel passato nell'attesa di ritrovare il figlio, giovane protestante antigovernativo scomparso diciotto anni prima ad Istanbul, durante il governo di estrema destra. Kuf è un film che nasce da un'urgenza politica ma racconta sottilmente le molteplici sfaccettature dall'animo umano.

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Anatolia, primi anni novanta. Basri (Ercan Kesal) è un impiegato delle ferrovie che si occupa di sicurezza sui binari. È un uomo silenzioso, lento, che vive in totale solitudine nella speranza di ricevere notizie sul figlio, scomparso diciotto anni prima con l'accusa di aver complottato contro il governo turco. La sua unica compagnia è una radio russa perennemente sintonizzata sul notiziario, unica possibile fonte di notizie, e l'attività che lo impegna maggiormente è scrivere petizioni alle autorità per far luce sulla vicenda del figlio. Il silenzio di Basri è assecondato dalla terra in cui vive, l'Anatolia, un luogo ameno dove il tempo scorre lentissimo e della tecnologia non v'è traccia, dove ogni azione e parola producono una scia pesante, dove le solitudini custodiscono le persone e rendono i rapporti umani inquietanti, pericolosi. L'ambiente, dunque, è il vero protagonista del film: se non si muovesse in quel territorio, Basri, forse, non ascolterebbe con quella precisione la sua solitudine, il suo dolore, e non coltiverebbe con quella determinazione la speranza di ritrovare, un giorno, il figlio scomparso.

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Kuf nasce da una profonda indagine del regista, Ali Aydin, sulla realtà turca dei primi anni novanta, caratterizzata da un governo di estrema destra, dove coloro che esprimevano idee diverse venivano arrestate o scomparivano nel nulla. Aydin cerca di analizzare non tanto il suo punto di vista ma quello della società, avvalendosi di inquadrature rigorose, una fotografia nitida e lunghi piani sequenza, quasi a voler documentare uno sguardo qualsiasi esterno. Kuf è un film pieno di rigore formale ma mai freddo, richiede semplicemente un tempo minimo di adattamento da parte dello spettatore: è necessario, almeno per la durata della pellicola, abbandonare la concezione occidentale del tempo e immergersi nella lentezza dell'Anatolya, dove le parole possiedono un peso specifico e non si disperdono mai. Barsi vive ai margini, dimentico da anni di se stesso ma memore e determinato a fare luce su ciò che è accaduto al figlio. Non è importante se, spessissimo, viene interrogato dal commissario (Muhammeth Uzuner) a causa delle numerose istanze governative che invia, neanche se evita di salvare un collega di lavoro dalla dubbia moralità (Tansu Bicer) da un incidente. Tutto sembra scivolare lievemente e assume un senso soltanto in relazione al ritrovamento del figlio, il suo unico contatto con la realtà, l'unica/ultima traccia che ha lasciato su questa terra. L'interpretazione di Ercan Kesal di Basri è così precisa e delicata da non lasciare scampo: qualsiasi possa essere la soggettiva posizione rispetto al film, difficilmente si resterà indifferenti di fronte allo sguardo, perduto e vivo allo stesso tempo, del protagonista. Difficilmente non si rimarrà spiazzati dall'onesta e l'intensità dell'interpretazione di Kesal, e , ancora, difficilmente non si avrà interesse a seguire la sua storia. D'altro canto Barsi è esattamente come il film che lo racconta: rigoroso e delicato, impenetrabile e ricco, in definitiva, prezioso e mai banale. Il film sarà distribuito in Italia dalla Sacher distribuzione.

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    Un commento

    • Non so per quale motivo, ma questa storia mi sembra già sentita, letta e vista. Anni fa mi trovavo ad Istanbul, quando ho visto la presentazione di una tesi di laurea in Regia, la cui storia era identica a questa…stesso uomo che vive in solitudine, malato e lasciato solo alla ricerca del figlio scomparso anni prima perchè arrestato dalla polizia ( e si presume, ucciso)…stesso dialogo con il commissario del paesino dove si era rifugiato…stessa ferrovia…stessi colleghi nazionalisti e misogini…inquadrature lunghe, paesaggio stupendo. Scritta in memoria dei "desaparecidos" turchi e curdi e le loro madri…infatti il film aveva e ha tuttora proprio il titolo del giorno in cui queste madri si riuniscono, da anni, davanti al liceo Galatasaray.
      Devo dire che il film presentato a Venezia è molto originale!