#Venezia75 – Acusada, di Gonzalo Tobal

Tobal non ha il giusto sguardo per portare avanti la sua critica ai media e preferisce confezionare un legal drama familiare che non va da nessuna parte. In concorso

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Nel soggiorno di una casa della borghesia argentina, fotografi e giornalisti immortalano una famiglia sorridente e apparentemente “perfetta”. È l’immagine che serve all’opinione pubblica ma soprattutto a Dolores, ventunenne accusata di aver pugnalato a morte la sua migliore amica al termine di un festino. La ragazza sta per affrontare il processo e si dichiara innocente nonostante molti indizi sembrano incolparla e alla difesa serve curare ogni particolare, in particolar modo il rapporto con i media. E così Dolores concede interviste seguendo copioni prestabiliti,  non esce mai di casa e vede l’accesso a internet bloccato. Del resto è proprio la pubblicazione per mano della vittima di un video porno con Dolores protagonista, il movente che potrebbe incastrare quest’ultima. Quando iniziano le sedute in tribunale comincia inevitabilmente un circo mediatico, che dilania anche il rapporto con i genitori e il fratellino. E la domanda è una sola: Dolores è colpevole o innocente?

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Al suo secondo film da regista, Gonzalo Tobal (classe 1981) racconta uno dei tanti possibili casi di cronaca nera del mondo di oggi, costruendolo come un legal drama. Aspira a un cinema medio, che sappia coinvolgere lo spettatore emotivamente e allo stesso tempo farlo riflettere sulle criticità della società contemporanea. I valori e le ambiguità delle giovani generazioni ad esempio, a cui probabilmente dedica troppe poche scene, e, soprattutto, la spettacolarizzazione e il cannibalismo del mondo dell’informazione. Nonostante queste premesse e un inizio interessante Acusada presto esibisce una schematizzazione narrativa e registica che svuotano l’operazione. Qui serviva un regista coraggioso nello sguardo e cupo nell’anima. Ma Tobal non lo è e la sua messa in scena peggiora con il procedere del film, impantanandosi su improbabili carrellate circolari e allegorie grossolane come quella finale del puma che gironzola sui tetti delle ville. Quando poi si concentra sul conflitto tra padre e figlia e cerca di dare risposte sull’omicidio, si ha persino il sospetto di essere finiti in una scialba versione di un romanzo di Scott Turow. Alla fine è quasi stupefacente come un film che vorrebbe raccontare molte cose finisca con il dire assolutamente nulla. L’unica che sembra far deragliare Acusada verso territori differenti è la protagonista Lali Esposito, che in Argentina è una star di musica pop e qui di fatto sostiene su di sè il peso del film con bellezza e presenza depalmiane, incarnazione conturbante di un’immagine femminile condannata al desiderio del giudizio.

 

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