Xue Bao (Snow Leopard), di Pema Tseden

Inserisce all’interno della sua narrazione una componente fiabesca rimanendo presto vittima di un’eccessiva ridondanza di scrittura e da una retorica troppo facile. VENEZIA80. Fuori Concorso

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C’erano una volta l’uomo e la belva. Due mondi, quello civilizzato dell’essere umano e quello selvaggio senza regole degli animali, apparentemente incompatibili. Eppure, quello spazio incontaminato, inaccessibile all’uomo, in Snow Leopard, ci sembra sempre più vicino, quasi tangibile.

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Il regista tibetano, scomparso il maggio scorso all’età di 53 anni, ci lascia in eredità un’opera di grande speranza, provando a fornirci le chiavi per entrare all’interno di quel mondo sconosciuto, selvaggio e incorruttibile. Per farlo, si serve di un magistrale utilizzo della CGI, che ricostruisce con un’invidiabile perizia tecnica le fattezze dell’animale selvatico, dandogli la possibilità di “dialogare” a tu per tu con gli esseri umani che lo circondano. E così, il microcosmo all’interno di un accampamento tibetano diventa il teatro dell’incontro/scontro tra uomo e belva, o meglio, tra uomo e leopardo delle nevi, una specie a rischio di estinzione che, per questo, viene protetta dalla legge cinese.

Il regista di Balloon torna per l’ennesima volta nella sua terra natale, di cui ha saputo ritrarre in modo meticoloso e realistico la vita e la cultura. Al centro del suo racconto, questa volta, abbiamo una comunità di pastori, il cui gregge viene attaccato, una notte, da un leopardo delle nevi che uccide ben nove montoni. All’interno della famiglia si scatena un’accesa lite. Il primogenito insiste per uccidere il leopardo, rimasto intrappolato nel recinto, mentre il padre e il fratello, un monaco tibetano molto legato all’animale delle nevi, spingono per lasciarlo libero. Nel frattempo, una rete televisiva locale sta preparando un servizio sull’ animale a rischio estinzione. Dopo qualche giorno di tira e molla, interverrà la polizia cinese, che invocherà il rispetto delle leggi a tutela del Leopardo delle nevi.

Ispirato ad un fatto di cronaca, Snow Leopard fin dalle prime battute inserisce all’interno della sua narrazione una componente fiabesca, attraverso la quale cerca di leggere il rapporto tra uomo e animale, approfondendo entrambe le prospettive. Il tentativo, da parte di Pema Tseden, è chiaramente quello di intessere un dialogo diretto tra due mondi chiaramente incompatibili, la cui presenza dovrebbe minacciare l’esistenza dell’altro. Eppure, sembra dirci il regista tibetano, un rapporto di filia, inteso alla maniera dei Greci antichi, è possibile. E in fondo, anche gli animali più selvaggi, non sono poi così diversi da noi. Ed è proprio da quest’ultimo punto che sembrano emergere le maggiori perplessità per un film impostato tecnicamente in maniera ineccepibile, ma permeato da una retorica troppo facile secondo cui è possibile interpretare in una visione antropomorfa le azioni e i comportamenti di un leopardo delle nevi. Dopo una buona prima parte, infatti, il film rimane vittima di un’eccessiva ridondanza, anche e soprattutto nei dialoghi tra la polizia e il pastore. Quest’ultimo continua ad esprimere la volontà di essere ricompensato per il danno subito prima di poter liberare l’animale, mentre i poliziotti ripetono come una filastrocca che il leopardo delle nevi è protetto dalle leggi dello Stato cinese e che quindi, va liberato al più presto. Il botta e risposta diventa presto stucchevole, mostrando tutti i limiti di un’opera fin troppo studiata a tavolino ma che riesce comunque a far trasparire quei frammenti di una profonda umanità che Pema Tseden ha saputo esprimere per tutta la sua carriera, terminata troppo presto.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.8
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Il voto dei lettori
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