"L'impero dei lupi", di Chris Nahon

Chris Nahon si concede quasi del tutto a Kassovitz e Besson. (Con)fusione di generi, tra zone d'ombra e squarci di luce improvvisi. Cinema isolante in cui rimane un certo ricordo, e forse nostalgia, per la terraferma degli ispiratori. Eccessi intellettualistici attentano alla purificazione dello sguardo.

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Nel quadro della cinematografia europea il cinema che spazia, rimanda e confonde horror, giallo, thriller, spionaggio e azione non può avere vita facile ed essere digerito senza rigurgiti insofferenti da i molti che scorgono esclusivamente estetismi di ruffiana esasperazione. Scritto da Jean Christophe Grangé, lo stesso autore de I fiumi di porpora di Kassovitz, questo film rientra pienamente nella corrente cinematografica francese originata da Luc Besson. Chris Nohan (che ha realizzato in passato il bessoniano Kiss of the Dragon) sperimenta lo stile ormai marchio di fabbrica internazionale, confutando probabilmente il risultato finale. Le scelte importanti della regia, la ricerca di un senso, non sono riconducibili totalmente al modello cinematografico degli autori citati. Il film si apre con un test segreto di riconoscimento facce e la protagonista sembra soffrire di una strana amnesia "prosopagnosica". Addirittura tra le facce mostrate non riconosce quella del marito, agente segreto dell'antiterrorismo. Misteri continui e sovrapposti si susseguono per tutto l'intreccio a volte anche particolarmente contorto. Parallelamente a questo strano caso neurologico, un giovane poliziotto indaga su strani omicidi avvenuti in città, facendosi aiutare da un losco individuo (Jean Reno) invischiato in torbide amicizie. Dalle indagini spunta una strana quanto pericolosa connessione con i "Lupi Grigi", setta ultranazionalista turca (di cui faceva parte anche l'attentatore di Papa Giovanni Paolo II, Alì Agcià), spietati assassini e feroci difensori ad oltranza della mezza luna. Ambienti gotici e barocchi rimandano certamente la ricerca in acque sconosciute, dove può accadere di poter capovolgere tutte le solite sicurezze, dove la pazzia può essere benessere e la normalità malattia, dove l'eccitazione può essere schiavitù o liberazione e dove la realtà può trovarsi nell'ebbrezza, non nella sobrietà. Nessun cinema o uomo o donna sono isole, complete in se stessa. Anche questo cinema non può esserlo, come tutti i suoi protagonisti e come tutta la sua struttura iconografica e narrativa. Nel cinema "secondario", come questo di Nahon, sembra però emergere un'isola separata dalla terraferma degli ispiratori. In questo cinema secondario (comunque assolutamente non da cancellare o dimenticare) rimane un certo ricordo, e forse nostalgia, per la terraferma. Quel vibrante e sconfinato intrattenimento (per cui Besson è tra i numi tutelari) si macchia di eccessi intellettualistici che attentano alla purificazione dello sguardo perdutamente compiaciuto nei meandri della suggestione e della trasfigurazione.  

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Titolo Originale: Id.


Regia: Chris Nahon


Interpreti: Jean Reno, Jocelyn Quivrin, Arly Jover, Laura Morante, Philippe Bas, David Kammenos


Distribuzione: Medusa


Durata : 128'


Origine: Francia/Italia, 2005

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