"La commedia del potere", di Claude Chabrol

L'ultimo film, politico, di Chabrol è pensiero puro, totale rarefazione. Staticità e compostezza rivestono ogni cosa, finchè – molto tardi – il regista non scopre le carte e scuote il pubblico. Con un'ipnosi

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L'ultimo film, politico, di Chabrol è pensiero puro, totale rarefazione. Stretto e a tratti soffocante sui personaggi  – sempre in primo piano o quasi – ma comunque distante, come a prendere le misure di una complessità doppia, quella pubblica degli inestricabili movimenti economico-industriali e quella privata di una coppia con ospite in interno. Staticità e compostezza rivestono ogni conflitto, ogni confronto, ogni manifestazione di amore, rabbia, annientamento; rarissime metafore visive aprono qualche possibilità di respiro ampio; qua e là certe battute, certi sviluppi (una disattesa rivalità femminile) scuotono a margine lo spettatore. Il massimo del campo lungo è una macchina che si allontana in fretta, e questo, come molto altro – movenze e colonna sonora, dialoghi e ambienti, recitazione e inquadrature – evocano a pelle certi giallo/polizieschi del cinema americano anni Cinquanta. Ma dov'è il giudice (Isabelle Huppert), e con lui Chabrol? Per molto tempo si segue lo snodarsi di interrogatori, perquisizioni fuori e atmosfere pseudo-inquiete dentro senza potersi schierare, scrutando una protagonista che a volte cade nel cliché della donna-in-carriera, altre sembra fatta d'aria, altre ancora è talmente presente che quasi se ne sente l'odore. Ma così come gli imputati sembrano indifferenti a capi d'accusa e incriminazioni, così il magistrato – a sorpresa diremmo – manca completamente di carisma. Lo sguardo allora è interdetto, disarmato e si perde.

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E' solo da un certo punto in poi – oltre la metà del film – che dallo schermo arriva una scossa. E' qui, in una notturna riunione informale di politici e industriali, che il regista fa il miracolo dell'ipnosi: quasi alla faccia del cinema, non contano più le immagini che si vedono realmente scorrere,  tanto meno i dialoghi. Le parole si perdono, diventano rumori di fondo; le facce, i gesti, gli oggetti vengono annullati in qualcosa che resta sospeso a metà tra lo schermo e lo spettatore. E' il massacro, né divertito né arrabbiato, delle classi alte: una rappresentazione di animali dallo sguardo fisso, di maiali – è non è una banalità perché Chabrol trova il modo, inspiegabile ed efficace come uno scossone, di renderli veramente disgustosi, viscidi, repellenti. E' allora che tutto torna nel film. Compreso il mancato carisma, la mancata fascinazione della protagonista: industriali e politici sono quel che sono, il pubblico ministero di turno è l'anello debole e invisibile, le classi basse restano dov'erano, a margine come in un paio di battute. Compresa, quindi, la scelta finale: il "Che se la sbrighino" che poteva sembrare una semplice ritirata, un ripiegamento nel privato, alla luce grottesca di un'unica scena diventa la dichiarazione di assurdità della lotta – che tanto lotta infatti non sembrava, e questo fin dal primo minuto.

Titolo originale: L'ivresse du pouvoir


Regia: Claude Chabrol


Interpreti: Isabelle Huppert, François Berléand, Patrick Bruel, Robin Renucci, Maryline Canto, Thomas Chabrol


Distribuzione: BIM Distribuzione


Durata: 110'


Origine: Francia, 2006


 

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