VENEZIA 64 – "Gruz 200" di Alexey Balabanov (Giornate degli Autori)

Gruz 200 di Aklexey Balabanov, nell’ottica di un cinema che assorbe completamente il narrato nell’esaustività e nella compiutezza degli assunti iniziali, riesce, nel non facile compito, di amalgamare la storia dei personaggi e il documento agghiacciante su un Paese alla deriva.

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Gruz 200

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Gruz 200 di Aklexey Balabanov è un film costruito con una rara abilità, stratificato su una ricchezza di temi di non comune forza espressiva che nell’ottica di un cinema che assorbe completamente il narrato nell’esaustività e nella compiutezza degli assunti iniziali, utilizza il media cinematografico per raccontare, come in una caleidoscopica formazione di cristalli, le storie dei personaggi e della Russia nel periodo drammatico della sua transizione/trasformazione. Nella sua spietata, ruvida concentrazione narrativa, non smarrisce mai il senso unitario dell’operazione. Balabanov conferisce valore aggiunto alla piccola e devastante storia quotidiana che sceglie come ordito narrativo per lo sviluppo di una trama complessa e di spiccata originalità. L’intento è quello di dimostrare che i piccoli fatti di cronaca di provincia, altro non sono che i fermenti vivi attraverso e sui quali si raggrumano i grandi avvenimenti. Alexey Balabanov non è un novizio avendo iniziato la sua carriera di cineasta nel 1989 come documentarista e passato, qualche anno dopo, all’elaborazione della scrittura e a quella della direzione di film di fiction.

Immerso in un grigio livido e ghiacciato, Gruz 200 (Cargo 200) racconta della notte balorda di Valera, giovane alcolizzato, che vive nell’inganno della propria esistenza. Dopo avere trascinato Angelika , amica della sua fidanzata in un sordido appartamento dove Valera acquista vodka di contrabbando, si ubriaca e per Angelika quella casa diventerà il luogo degli orrori e del suo annientamento. Zurov poliziotto violento e impotente la ridurrà, attraverso una inimmaginabile sequela di raccapriccianti prove, in uno stato di totale e assoluta sudditanza psicologica, nella via senza uscita di paura che prelude al suo annientamento. Ma il film proprio in questo intreccio tra di trame finisce per diventare metafora acida di un paese allo sbando mentre lì vicino le sue giovani vite erano spezzate nel pantano dell’Afghanistan.

Un film che non lascia spazio né alla noia, né alla prevedibilità, riuscendo nel non facile compito di amalgamare, con intensità narrativa e sensibilità emotiva, pur nella distanza che l’autore demarca tra il racconto e il desiderio di un necessario lieto fine per lo spettatore, la storia dei personaggi e il documento agghiacciante che ci mostra un Paese senza controllo e alla deriva morale, nella disperazione racchiusa nel lampo di un dramma che, fortuitamente, scopre, per un attimo, l’abisso della sua cattiva coscienza dalla quale non parrebbe possibile risalire.

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