"Whiteout – Incubo Bianco", di Dominic Sena

whiteout
Il film conferma il movimento rettilineo e insieme circolare alla base dello sguardo di Sena, l'impasse fondativa come una corda tirata eppure senza alcuna elasticità, come se non ci potesse essere un percorso differente nel bianco se non quello che innesca un movimento all'indietro (nel passato, negli incubi, nei ricordi del personaggio di Kate Beckinsale). Tratto dal fumetto di Greg Rucka e Steve Lieber, diretto dal regista spiralideo di Fuori in 60 secondi

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Trasposizione della graphic-novel di Greg Rucka e Steve Lieber per mano di un pubblicitario di talento (e già questo è un processo che porta con sé due elementi la cui ibridazione desta a priori un decisivo interesse), Whiteout conferma il movimento rettilineo e insieme circolare alla base dello sguardo di Sena, l'impasse fondativa che ne diventa l'unica blanda riflessione sul Cinema: come la notte spiralidea di Fuori in 60 secondi (esplicitata nella sequenza d'inseguimento attraverso le rampe del parcheggio sotterraneo, raddoppiata dall'immagine del serpente scovato a sorpresa nell'auto), Sena tira una corda che porta da A a B, che fatalmente però finisce per riportati indietro ad A – come un circolo (polare) vizioso, verrebbe da dire citando il cantautore da A ad A. Eppure senza alcuna elasticità, come se non ci potesse essere un percorso differente nel bianco se non quello che innesca un movimento all’indietro (nel passato, negli incubi, nei ricordi). Da questo punto di vista Sena qui è sorprendente, arrivando al punto estremo di non ritorno di questa pratica di 'rimbalzo' all'indietro, costringendoci ad un certo punto a rivivere in flashback le immagini della sequenza subito precedente, che dunque abbiamo appena visto. Girare a vuoto, appunto, è quello che continuano a fare i personaggi del suo Cinema (da Kalifornia a Codice: Swordfish): il bianco infatti 'rimbalza' tutti gli altri colori, nega ogni direzione o traiettoria, ogni idea di spazio – "qui non c'è niente".
E' come una versione antartica di Coraline, questo film; l'idea che al di fuori del proprio rifugio (il) niente esiste – e allora la clamorosa sequenza centrale di lotta con il killer che va uccidendo uno ad uno i geologi di una base al Polo Sud (in realtà ricostruito in Canada) nel bel mezzo di una tempesta, mentre la Beckinsale e Gabriel Macht si tengono stretti a queste funi tirate a mezz’aria nel nulla, e i tre lottano per non perdere l’appiglio e finire così travolti dal whiteout, non è poi così differente e lontana dal virtuoso piano-sequenza che apre la pellicola, a seguire la protagonista di spalle mentre attraversa gli androni della base dove in corso una festa, con l’inquadratura che si chiude sul tonico fondoschiena della Beckinsale che si spoglia per farsi una doccia.
In un caso o nell’altro, la vera firma del film è quella del produttore teorico Joel Silver, che porta avanti da quasi vent’anni un coerentissimo processo di astrazione delle forme e dei corpi del Cinema qui facilmente riscontrabile nel trattamento riservato appunto al fisico atletico dell’attrice, spesso mortificato e frustrato dalla vastità dell’ambientazione e dalle violenze subite (le vengono addirittura amputate due dita della mano destra), ma che resta l’unico perno davvero fisso su cui si indirizza la totalità delle traiettorie messe in campo dal film.

Titolo originale: Whiteout
Regia: Dominic Sena
Interpreti: Kate Beckinsale, Gabriel Macht, Tom Skerritt, Columbus Short, Alex O’Loughlin, Shawn Doyle, Joel Keller, Jesse Todd, Arthur Holden, Erin Hickock
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 101'

Origine: USA, 2009

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