El viento que arrasa, di Paula Hernández

Al suo terzo lungometraggio dietro la macchina da presa, la regista argentina realizza un road movie intimo e intrigante, trasposizione del romanzo di Selva Almada. In concorso al 33esimo FESCAAAL

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La giovane Leni osserva da una fessura tra due assi di legno l’interno di una chiesa evangelica. Al centro della sala, piena di fedeli disposti in cerchio, si trova suo padre. Sta eseguendo un esorcismo a una donna posseduta dal demonio. È un predicatore evangelico e la sua missione “per conto di Dio”, come direbbe qualcuno, si compie cancellando il “dolore dell’anima” alle persone malate che incontra sul suo cammino.

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Tra Leni e suo padre c’è un rapporto forte. La madre è scappata in Brasile anni prima e sono rimasti solo loro due. C’è chi li scambia addirittura per marito e moglie… Viaggiano insieme e la figlia aiuta come può il padre nella sua missione. Anche se ha viaggiato tanto, però, Leni non ha mai veramente conosciuto il mondo al di fuori di ciò che gli ha insegnato suo padre. Un uomo che non perde occasione per diffondere il Verbo, costruendo e modellando la propria verità con grande eloquenza. Leni è, infatti, la principale vittima di un mare di termini che la investono, giorno dopo giorno, da quando è piccolissima. Ma tutte queste parole, versetti e preghiere non riescono a bloccare la curiosità umana di una ragazzina di diciotto anni. E così, durante l’ennesima missione evangelica, mentre si trova in un negozio di hi-fi, intenta a comprare delle cassette per incidere qualche predica, le cade l’occhio su un disco rock. Il venditore gliela lascia gratuitamente e Leni la prende subito.

Pochi giorni dopo un altro incontro, questa volta del tutto casuale, con Gringo, un meccanico ateo che non ha mai seguito la voce di Dio, e suo figlio, la porteranno a un progressivo risveglio dal torpore ecumenico in cui si ritrova da quando è nata, per arrivare ad un vero e proprio percorso di crescita ed emancipazione dalla figura del padre-predicatore, un uomo che non è mai stato realmente una vera e propria figura paterna.

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Paula Hernández, al suo terzo lungometraggio dietro la macchina da presa, presenta al 33esimo FESCAAAL un road movie intimo e intrigante, trasposizione del romanzo di Selva Almada, ambientato tra le pianure sconfinate della campagna Argentina, a pochi passi dal confine con il Brasile. Il viaggio intrapreso dalla giovane Leni, partito dal voyeurismo di uno sguardo che inizia a prendere le distanze dalla “prigione dello spirito” rappresentata dal padre, la porterà ad una presa di coscienza graduale sulla propria identità, destinata a sfociare nell’esplosione musicale di vita, espressa con grande semplicità nella sentita sequenza finale.

La regista adotta uno stile classico giocando con la fotografia di Iván Gierasinchuk che intercetta i riflessi di luce che colpiscono trasversalmente i corpi dei protagonisti tra ambienti chiusi e aperti. Il ritmo della pellicola si sviluppa senza particolari intoppi mostrando qualche passaggio a vuoto solo nella sua parte conclusiva. Decisamente più goffo e sconclusionato è il tentativo di adottare una svolta horror per descrivere il definitivo distacco tra Leni e il fanatismo religioso del padre. Resta comunque una piccola pausa all’interno di un prodotto artistico ben costruito e sviluppato, un coming of age declinato al femminile, in bilico costante tra sacro e profano.

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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