TORINO 28 – "Jack Goes Boating", di Philip Seymour Hoffman (Festa Mobile)

jack goes boating
È arrivato il momento anche per Philip Seymour Hoffman di passare dall’altro lato della macchina da presa. E forse varrebbe proprio la pena di porre in questi termini il discorso su Jack Goes Boating, suo esordio alla regia: ossia sull’equilibrio instabile che si crea in questo film tra l’Hoffman attore e regista. Debordante e con una “eccessiva” presenza scenica il primo, un po’ titubante e insicuro il secondo

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Philip Seymour Hoffman in Jack Goes Boating

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È arrivato il momento anche per Philip Seymour Hoffman di passare dall’altro lato della macchina da presa. Come tantissimi suoi illustri colleghi, anche l’attore newyorchese ha deciso di cimentarsi con la regia riservandosi, come da tradizione, il ruolo di prim’attore. E forse varrebbe proprio la pena di porre in questi termini il discorso su Jack Goes Boating, ossia sull’equilibrio instabile che si crea in questo film tra l’Hoffman attore e regista: debordante e con una “eccessiva” presenza scenica il primo, un po’ titubante e insicuro il secondo. Sì perché adattando per il grande schermo la piéce teatrale di Bob Glaudini, storia del timido e represso autista Jack che finalmente trova la donna della sua vita nell’altrettanto inesperta impiegata delle pompe funebri Conny (Amy Ryan), Hoffman trasporta di peso tanti umori e suggestioni di un cinema indipendente americano da lui frequentato sin da giovanissimo (evidenti le filiazioni dirette o indirette con film come Ubriaco d’amore di P. T. Anderson o La famiglia Savage di Tamara Jenkins), ma riducendo il tutto quasi ad un vuoto contenitore di formule collaudate che fa una fatica immensa a ritagliarsi una sua originalità. Ecco che tematiche come l’insicurezza cronica del vivere cittadino, l’amore come unica molla di cambiamento o l’amicizia come specchio per le proprie paure, purtroppo non trovano quel potente detonatore emotivo che è sempre stato il punto di forza di tanto cinema indie: e viene in mente, forse non a caso, un film come Lonesome Jim di Steve Buscemi dove tematiche simili venivano potenziate e decuplicate emotivamente proprio grazie a calibratissime scelte registiche. Jack Goes Boating invece oscilla tra forzati momenti di sospensione e rarefazione, faticosamente alternati a improvvise esplosioni di ritmo tese a puntellare il percorso di cambiamento di Jack. La macchina da presa "cerca" continuamente e ossessivamente il suo protagonista e il film risulta quindi totalmente schiacciato sulla innegabile bravura attoriale di Hoffman, che però in questo caso a tratti sconfina nella maniera: come se l’attore fagocitasse in toto il regista, restituendogli in cambio solo pochi momenti di vero respiro cinematografico (le belle scene in piscina).
Forse, semplicemente, era tanta l’attesa di vedere il primo film da regista di una delle icone del nuovo cinema americano. Forse questo film sconta anche il peso delle alte aspettative e degli ingiusti paragoni con i suoi modelli. Ma il cinema è anche e soprattutto un fatto(re) umorale, cementato da attese e disillusioni. "Provaci ancora Philip…". 

 

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