Trash, di Stephen Daldry

trash
Se Stephen Daldry e Richard Curtis spingono con innegabile maestria il pedale della “rivoluzionaria” azione dal basso della favelas che sfondi le porte della “corruzione” dall’alto della politica, beh, forse manca un po’ di sano caos nel mezzo per farci percepire la potenza di tutto questo ribollente calderone

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Come fossimo nel famosissimo scatto di William Klein, Trash inizia con un primo piano di un bambino che impugna una pistola. La canna è in faccia alla macchina da presa, l’innocenza e la violenza, la purezza e la sporcizia, tutto in un frame, e noi subito lì dentro. Non male come inizio. Partiamo: Stephen Daldry torna ad adattare un romanzo di successo (dopo il bel precedente di Molto forte, incredibilmente vicino), collaborando con un altro illustre britannico come Richard Curtis che qui firma la sua solita sceneggiatura “perfetta”. Da manuale. Siamo nel Brasile contemporaneo, quello del miracolo economico, dei Mondiali e delle Olimpiadi che impongono immensi cantieri dislocando le Favelas come un rimosso socioculturale presentissimo. Rio è una sorta di pentola a pressione di tensioni latenti (politiche, sociali, razziali) sempre sul punto di esplodere, soprattutto se ci si immerge in una poverissima baraccopoli dove si sopravvive rovistando nella spazzatura che i quartieri ricchi scaricano in abbondanza. Questa volta però il camion di rifiuti porta con sé un portafogli che “scotta”, che potrebbe svelare i segreti di un potentissimo uomo politico candidato a sindaco…un portafogli trovato da due ragazzini che danno istantaneamente il via ad un dispositivo di azione e tensione che scoperchierà gli equilibri della gigantesca città divorata dalla corruzione a tutti i livelli. Una metropoli mossa solo da imponenti somme di denaro nascoste nei bustoni neri dell’immondizia: folgorante metafora, non c’è che dire.

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E allora: Daldry per l’ennesima volta si conferma acuto regista di “bambini” catturando l’innocenza dei suoi ragazzini protagonisti immersi nella sporcizia (fisica e morale) di questo nuovo millennio divorato dalle crisi economiche. Due ragazzini, un loro amico, infine una fantomatica bambina sopravvissuta (formando un nuovo ideale sogno di comunità futura) che per un innato senso di giustizia iniziano la loro lotta spalleggiati dall’onesto prete missionario Martin Sheen e dall’attivista irriducibile Rooney Mara. Ottimo ritmo, belle interpretazioni e impegno civile politicamente corretto: tutto mescolato come nelle buone ricette di una volta. Evidentemente manca qualcosa. A dire il vero manca proprio un po’ di trash, di sana sporcizia filmica che sfondi l’immagine così estetizzante di un Brasile coloratissimo e fotografato come l’India di Danny Boyle. Insomma se Daldry e Curtis spingono con ammirevole maestria il pedale della “rivoluzionaria” azione dal basso della discarica che sfondi le porte della “corruzione” dall’alto della politica, beh, forse manca un po’ di sano caos nel mezzo per farci percepire la potenza di tutto questo ribollente calderone. Chiaro: il film ha diversi pregi (compresa una innegabile sincerità di fondo), il tono ricercato è più quello favolistico e Daldry risulta comunque meno bozzettistico di un tempo, ma per arrivare a sfiorare l’abisso e l’umanità di quel singolo scatto della streets photography di William Klein ci voleva ben altro.

Titolo originale: id.
Regia: Stephen Daldry
Interpreti: Rooney Mara, Martin Sheen, Wagner Moura, Selton Mello, André Ramiro, José Dumont, Nelson Xavier, Stepan Nercessian
Origine: USA, 2014
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 115'

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