VENEZIA 70 – "Double Play: James Benning and Richard Linklater", di Gabe Klinger (Venezia Classici – Documentari)

double play: james benning and richard linklater
Non un semplice modo di conoscere l’opera di un autore sconosciuto o di riscoprire i lavori di un regista affermato, ma piuttosto un immergersi nelle loro riflessioni, nel loro quotidiano e allo stesso tempo nel loro infinito sforzo di cercare quel qualcosa, quell’altro, che mantenga il cinema un’arte in continua evoluzione

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double play - james benning and richard linklaterJames Benning sembra vivere in un altro mondo: a sentire le sue storie, raccontate con il tono pacato di chi non ha fretta, il minimalismo dei suoi film riflette il suo stile di vita. Gli stessi stivali indossati per vent’anni, in viaggio con sotto il braccio i suoi film e nell’altra mano una busta con uno spazzolino dentro, ecco il necessario per viaggiare. Con i suoi capelli bianchi, la sua stazza pesante da uomo abituato a costruire da sé la propria casa piuttosto che comprarla, Benning è uno dei più importanti e sconosciuti uomini di cinema. Un’ostinazione da Don Chisciotte contro l’inaridimento del linguaggio cinematografico, ma portata avanti sottovoce, piuttosto con la lenta ma inesorabile possenza della natura. 13 lakes, Ten Skies, Small roads: i titoli dei suoi ultimi lavori non necessitano di spiegazioni. What you see is what you get. Un artista è colui che presta attenzione. Ed è ciò che fai Benning dall’inizio della sua carriera. La sua riflessione sulla durata, sul movimento e sul tempo riporta alle origini del cinema, alla non narrazione, alla stasi primitiva dei primi film di pochi secondi. Ma Benning ha a disposizione ben più di pochi secondi, e può concedersi ampie sessioni contemplative rivolte a qualsiasi manifestazione catturi la sua attenzione. “Pensate sia facile montare dieci sequenze? Ci sono infinite combinazioni possibili”. Vedere Benning al lavoro, la precisione che solo un artigiano solitario può comunicare sembra una risposta a chi vede nel cinema contemplativo un semplice accendere la macchina e lasciarla scorrere impassibile. Ogni scelta compiuta da Benning rivela una riflessione tesa a spingere i limiti del linguaggio cinematografico, anche se ciò significa non avere un vasto pubblico o un riconoscimento adeguato.

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Rispetto al lavoro di Benning, i film di Richard Linklater sembrano assolutamente antitetici: colmi di dialoghi, personaggi e situazioni, sono quanto di più lontano possa esserci dalla silenziosa contemplazione esposta in precedenza. Eppure, anche Linklater, in direzione opposta, si allontana dalla norma, dal linguaggio classico. E in maniera più estesa, anche la sua trilogia (Before Sunrise, Before Sunset, Before Midnight), realizzata nell’arco di 18 anni, è una riflessione sul tempo, la durata: un invecchiamento senza trucchi di scena, non solo a livello fisico ma anche artistico e cinematografico.

 

Il documentario di Gabe Klinger non indugia in spiegazioni o biografie sbrigative, né riempie lo schermo di spezzoni e frammenti delle opere dei due registi. Preferisce invece che i due vecchi amici si esprimano davanti alla camera, con naturalezza e tranquillità. Il rapporto di complicità e amicizia che legga due registi così diversi fa scaturire in maniera spontanea dialoghi e riflessioni sui rispettivi lavori, anche se è evidente la reverenza che Linklater prova nei confronti di Benning, a cui viene dedicato molto più spazio e tempo sullo schermo, vista anche la natura semi sconosciuta dei suoi lavori. Non un semplice modo di conoscere l’opera di un autore sconosciuto o di riscoprire i lavori di un regista affermato, ma un immergersi nelle loro riflessioni, nel loro quotidiano e allo stesso tempo nel loro infinito sforzo di cercare quel qualcosa, quell’altro, che mantenga il cinema un’arte in continua evoluzione. 

 

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