F. W. Murnau e l'espressionismo realista

Modulatore di effetti macabri e poetici attraverso mezzi espressivi del tutto realistici, quello di Murnau è cinema che persegue una totalizzante fusione delle arti, compenetrate nei diversi processi di creazione. 12 film, quasi tutti restaurati, viaggiano da una città all'altra: a proposito di una retrospettiva "itinerante" dedicata al regista tedesco

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Dodici film, quasi tutti restaurati, viaggiano da una città all'altra, come l'occhio interminabile di Murnau che oscilla instancabilmente tra la descrizione e l'evocazione, tra il fotografico e il pittorico.

Organizzata dalla Cineteche di Bologna e Torino e dalla Scuola Nazionale di Cinema di Roma, la "personale" riscopre sicuramente uno dei più grandi autori dell'arte muta e dell'intera storia della settima arte.

È cinema che persegue una totalizzante fusione delle arti, compenetrate nei diversi processi di creazione. I rimandi figurativi non sono una propedeutica (arbitraria) sulla genesi dell'immaginazione nell'arte; sono prolungamenti della pittura nel cinema. L'immagine si rigenera entrando in una nuova forma. Il cinema non solo esiste nel tempo e nello spazio, ma, confrontandosi con l'altro tempo, quello della pittura, renderebbe anche possibile vedere il tempo. È il passare della vita, con i suoi problemi, i suoi dolori, le sue angosce, sopra l'arte, attraverso l'arte; o il movimento essenziale di uscita dell'arte da se stessa, verso la vita e il suo costante rientro in se stessa. Con Murnau si manifesta il duplice carattere contraddittorio della figura cinematografica, intesa come soggetto estetico: un essere nel tempo e fuori di esso: un essere dentro l'esperienza e nello stesso tempo riflettere su di essa esteriormente. La "parziale illusione" regala contemporaneamente la simbiotica impressione di un avvenimento reale e di un quadro.

 

 

L'oggetto filmico è plastico e volitivo: in ogni inquadratura si produce l'animazione dell'intera superficie dello schermo, nei suoi minimi particolari, in ciascun momento della proiezione. Murnau domina tutti gli elementi che contribuiscono all'espressione plastica e in Faust (1926), più che negli altri film, spazio pittorico e architettonico sono difficili da "recintare".  La messa in scena svolge il ruolo della partitura: l'organizzazione dello spazio prende chiaramente il sopravvento. È proprio in questo film (anche se la casa di Faust mostra una forte impronta medievaleggiante) ed in Nosferatu (1922) che Murnau dall'espressionismo prende a prestito gli strumenti linguistici che gli servono ma non aderisce alla sua poetica irrazionale. Rimane lucido anche quando dà voce e immagine all'assurdo. È un modulatore di effetti macabri e poetici attraverso mezzi espressivi del tutto realistici. Scartando artifici del teatro di posa e della scenografia ricostruita, in Nosferatu, per esempio, le sequenze più angoscianti sono in effetti le visioni dei paesaggi e degli esterni; il vampiro spaventa proprio perché inserito in ambienti reali: il portale d'ingresso d'un castello in rovina o le facciate di vecchi magazzini. Un corteo che imbocca una strada diventa inquietante perché lo si riprende da una finestra sulla quale si profila l'ombra di una croce. In Der letzte Mann (L'ultima risata, 1924), Murnau si spinge oltre: al fine di rendere più percepibile l'impianto psicologico, utilizza angolazioni inusitate per rappresentare la realtà soggettivamente e riduce all'osso le didascalie. L'azione progredisce per mezzi unicamente visivi. Con una tecnica contraria a quella statica, predominante nella scuola espressionista, si sceglie una grande mobilità di "camera" per giungere ad una realtà circondata da un alone di sogni e presentimenti, alla fusione, in uno stesso piano, del reale e l'irreale. Un reale ai margini dell'incubo. Una rete di allusioni e di rimandi testuali ai meccanismi dell'orrore intesse, nel film, la realistica vicenda del portiere d'albergo che privato della sua splendida divisa, è degradato al ruolo di custode delle toilette nei sotterranei.

 

Ma è in Tartufo (1925) che Murnau perfeziona ulteriormente la sua tecnica. La scenografia diventa specchio dell'azione, crea l'effetto di "un film all'interno del film". Ambientazione tardo-barocca dominata da una grande scala, su cui si affacciano le camere dei vari personaggi, e che è protagonista di un teatrale gioco di entrate e uscite. È la spazializzazione del dramma teatrale e la sua trasposizione nel film. Struttura tematica del doppio che percorre tutta l'opera di Murnau (Il Castello di Vogelod, Nosferatu, Faust) che conferma l'attitudine a giocare sull'interazione di piani di riferimento e di strati discorsivi diversi, a produrre interferenze capaci di rafforzare per induzione semantica il potenziale problematico della vicenda ampliando la valenza ermetica, allusiva. L'immagine speculare rappresenta il senso dei nostri atti e la reciprocità reale tra il mondo e noi. La perdita dell'immagine è perdita di senso, di prospettiva.

Gli indizi premonitori dello sdoppiamento sono l'ombra ammonitrice e il perpetuo riverbero degli oggetti o dei desideri su superfici riflettenti. In Tabù (1931) l'ombra del prete, la cui intransigenza distruggerà la felicità degli amanti, s'insinua nella sabbia, affilata come un giavellotto, e getta la sua minaccia sulla coppia sacrilega addormentata nella capanna di bambù. In Phantom (1922) l'insegna di un ottico si trasforma in due occhi da demoni enormi e scrutanti. Il risucchio d'impressioni toglie ogni appoggio.

L'affiorare delle zone più profonde e oscure dell'inconscio, lo scontro di tali spinte con i divieti e le norme della società è substrato connettivo autoriale che trova spesso esplicita risonanza nella contrapposizione tra universo rurale e universo urbano. Lo spaesamento in Sunrise (Aurora, 1927) e City Girl (1930) c'investe all'arrivo in città. Le riprese dall'alto, che inquadrano sommità di palazzi o intricati ed affollati incroci tra strade, file di grattacieli e facciate di edifici, mirano all'imponenza e all'iniziale estraneità di chi l'osserva. Lo sguardo va dall'alto verso il basso, ad indicare un distacco destinato progressivamente a "calare". La metropoli è caos, confusione e il Johnson's Palace (in City Girl) è l'inferno del self-service, bolgia del pasto ingurgitato. Ancora una volta Murnau non cede ai contrasti semplicistici e riemerge l'impronta della sua dolorosa complessità interiore, di quella lotta che si svolge in lui contro un mondo cui rimane disperatamente estraneo. Nel film è proprio nei campi di grano che serpeggia la grettezza e l'avidità umana, proprio in quella bellezza naturale trasfigurata e aggredita dalle sue "torsioni" d'inquieto espressionismo e visionario realismo.     

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