“South Kensington” di Carlo Vanzina

Un “Vanzina minore”, con slanci intermittenti, ma in cui si affaccia anche quell’ombra funerea come in “Quello che le ragazze non dicono”, e dove i segni della malattia vengono nascosti da quel momentaneo godimento del piacere

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Esistono zone di oscurità dentro “certo” ultimo cinema dei Vanzina. Non più un cinema dell’euforia (come quello degli anni ’80 che Neri Parenti, con “Merry Christmas” continua comunque a riciclare), ma un cinema che guarda sempre più il Tempo da dietro, con un senso di nostalgia che si mescola a pulsioni di morte. Forse è proprio questa strana e insolita tetralità che si affaccia nell’opera di Vanzina che lascia per un momento spiazzati, in un film incapace di trasmettere la propria malinconia (come era già avvenuto nell’ottimo “Il cielo in una stanza”). Da “South Kensington” però, a differenza di quell’eleganza artificiale di “Via Montenapooleone” e “Piccolo grande amore”, non emergono corpi plastificati ma vivi, chiusi in un set ibrido come Londra (operazione di traslazione dello spazio britannico già messa in atto con “Io no spik inglish”), costretti a muoversi per consumare, quasi bruciare la propria esistenza in un’ambigua velocità sessuale e sentimentale. “South Kensington” come “Notting Hill”, nello spazio circoscritto di un quartiere londinese, che spinge collettivamente più vicende rispetto al film di Mitchell chiuso nella sua singolarità. Ma anche un film dove il cast internazionale (Rupert Everett, Elle MacPherson, Judith Godréche) viene esibito per coprire quello italiano (Enrico Brignano, Giampaolo Morelli), in cui sono proprio questi ultimi i deboli motori di una vicenda che ruota attorno a loro. C’è dentro “South Kensington” quel modo fiaccamente turistico di riprendere la metropoli britannica (atteggiamento invece anomalo in Vanzina, in quanto i luoghi esteri riesce comunque a farli entrare in simbiosi con i suoi personaggi), ma anche Roma – con gli stornelli di sottofondo – appare come una città da anni Cinquanta, da “Vacanze romane”, dove però dietro si annida il dolore del tradimento. Dunque, un “Vanzina minore”, con slanci intermittenti, ma in cui si affaccia anche quell’ombra funerea come in “Quello che le ragazze non dicono”, e dove i segni della malattia (nel personaggio di Rupert Everett) vengono nascosti da quel momentaneo godimento del piacere come in quella istantanea “ronde” ophulsiana del finale. Momento minimo, accennato, ma spudoratamente vanziniano.Regia: Carlo Vanzina
Sceneggiatura: Enrico Vanzina, Carlo Vanzina
Fotografia: Carlo Zamarion
Montaggio: Luca Montanari
Musica: Flavio Ibba
Scenografia: Tonino Zera
Costumi: Daniela Ciancio
Interpreti: Rupert Everett (Nick), Elle Macpherson (Camilla), Judith Godréche (Susanna), Enrico Brignano (Francesco), Giampaolo Morelli (Antonio), Max Pisu (Massimo Carioni), Naike Rivelli (Ilaria), Jean-Claude Brialy (Ferdinando)
Produzione: Medusa Film/South Kensington/Filmtel/Tele+
Distribuzione: Medusa
Durata: 110’
Origine: Italia, 2001

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