Welcome to New York, di Abel Ferrara

welcome to new yorkMai come stavolta clandestinamente politico, Ferrara filma il decadentismo immobilista del nostro presente-futuro e aggiunge tasselli lucidissimi al suo racconto sul destino autodistruttivo dell’uomo  e sulla menzogna della rappresentazione. Un capolavoro e Depardieu come Deveraux/Strauss Kahn è debordante

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Uno dei migliori Abel Ferrara di sempre. Un capolavoro scandito da sesso, denaro, merce, parole, menzogne. Se 4:40 Last night on earth raccontava i nostri ultimi istanti di vita prima dell’apocalisse, Welcome to New York – uscito in streaming in diversi paesi europei – ci si affaccia immediatamente dopo, in un mondo (?) dove il filo diretto con la morte è persino inutile in quanto completamente annichilito da parametri politici ed economici inestirpabili nella loro artificiosa compulsione. Deveraux/Strauss Kahn scopa fino all’annientamento fisico (la smorfia cartoonesca di Depardieu durante la prima fellatio) con la stessa foga con cui il capitalismo che incarna prosciuga risorse ai poveri e ai malati (“succhiala, succhiala!” ripete il protagonista alle sue puttane). Ingombrante il corpo grasso di Depardieu. Troppo enorme per non essere relegato costantemente a lato dello schermo. Tutta la prima mezz’ora orgiastica di Welcome to New York è un delirante ritorno ai baccanali autodistruttivi raccontati da Ferrara nei “suoi” anni ’90, dove lo spettatore può sempre scegliere dentro uno split screen invisibile ma ricorrente: da un lato come dicevamo il fisico bigger than anything di un Depardieu sudato, ansimante, patologicamente animalesco; dall’altro la seduzione pornografica di lascivi corpi nudi  femminili disegnati dal web e dallo shopping newyorkese. Prendere senza lasciare. È la società dello spettacolo signori e non poteva che raccontarcela così il cineasta americano più puro e indipendente degli ultimi decenni. Possiamo scegliere quale corpo guardare, ma il segno rimane quello: “Le cose non cambieranno mai” confessa in uno strepitoso monologo Deveraux, “nessuno vuole essere salvato davvero!”.

Eccola la redenzione impossibile. L’autodistruzione ormai è consapevolmente senza uscita in quanto estranea alla spiritualità e tutta interna a una visione coraggiosamente politica. Ferrara fa veramente sul serio e  la sua clamorosa intuizione è quella di far diventare la versione di Strauss Kahn non soltanto immagine deformante di una classe politica, ma persino pericolosa  propagazione anarchica all’interno della stessa, il suo protagonista è il carnefice di se stesso in quanto – paradossalmente – troppo libero e sincero nel suo percorso potenzialmente suicida, pericoloso freak da mettere alla berlina per ripulire la facciate delle alte sfere. In questo processo lento e accuratissimo, fatto di sequenze lunghe e ricche di preziosissimi tempi morti dentro/fuori il cinema, il regista di Blackout (titolo che condivide con questo ultimo film diverse analogie) aggiunge tasselli lucidissimi al suo racconto sull’uomo  e sulla menzogna della rappresentazione. Qui tutti i personaggi fingono. Interpretano qualcuno o qualcosa. L’erotismo è performance esibita davanti a un pubblico in cerca di scandalo, la discussione di coppia una compiaciuta sfida a due tra Depardieu e la Bissett carica di improvvisazione e rapporti di forza e lo sguardo in macchina ultimo dichiarato punto di fuga da una gabbia costruita dal potere dei soldi e da quello della messa in scena. 
Con sorprendente controllo della forma e della scandalistica materia trattata, Ferrara filma il decadentismo immobilista del nostro presente-futuro. Un’opera spietata e illuminata come una pittura di Warhol o un saggio di Bauman.

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Titolo originale: id.

Regia: Abel Ferrara

Interpreti: Gérard Depardieu, Jacqueline Bisset, Marie Mouté, Pamela Afesi

Distribuzione: 125'

Origine: Usa 2014

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