Harry ti presento Sally, di Rob Reiner
Ci sono film che si radicalizzano nel nostro immaginario e diventano una realtà condivisa. Quello diretto da Rob Reiner con l’irresistibile coppia Billy Crystal-Meg Ryan è uno di questi.
Ci sono film che si radicalizzano nel nostro immaginario, diventano una realtà condivisa, un territorio inalienabile, attraversato continuamente da milioni di persone. Harry ti presento Sally è questo: un film che ha a che fare più con l’archeologia del sapere che con una qualsiasi “classicità” artistica. Il senso più profondo, a questo film, non la dà la puntuale analisi critica, bensì il rincorrersi di continue re-visioni: il testo, ora, è questa cosa qui – una strada continuamente ri-attraversata, una città perpetuamente ri-visitata.
Probabilmente, ciò che attrae di più, in questo film, è una unità tematica piuttosto nascosta, meno esibita di quel che si può ritenere.
Il film “parla d’amore” ma, più intimamente e, per questo, più perversamente, sta lì a ribattere lo stesso chiodo che è quello, tragico, della solitudine, della paura di rimanere, alla fine, soli.
L’amore – in qualche modo – scompare in quanto evento parassitario, paradossale, rivoluzionario, malevolo, aggressivo: il sesso è messo, drasticamente, fuori gioco e il talamo nuziale riveste il ruolo, più nostalgico, dello stare assieme, del mantenersi – reciprocamente – in vita.
Harry e Sally sembrano rincorrersi per gran parte della loro storia: alternano e declinano – semplicemente – quelle che sono le strategie di un avvicinamento che, puntualmente, ha a che fare con la curiosità, il dubbio, lo stupore, la gelosia nascosta, la gelosia chiarificata, la sofferenza per ciò che si vorrebbe e che, ancora, non si possiede in modo perfetto – cioè inalienabile e definitivo.
Harry, senza volerlo, finisce con l’essere il personaggio passivo – è Sally a condurre il gioco della seduzione, è lei a edulcorare e a privare l’amore della componente sessuale. Il sesso è solo un bacino simbolico, l’elemento che demarca un territorio, che definisce un rapporto e Nora Ephron, che ha scritto la sceneggiatura, coglie bene – più che il pensiero maschile – lo stupore, l’incapacità a verbalizzare, il sistema altamente contraddittorio che, talvolta, anima la mente maschile.
Il gioco proposto è, in questo caso, molto semplice, molto lineare – e, perciò, alieno all’interpretazione maschile. Harry è imbarazzato da un sentimento che non comprende appieno, che lo mette continuamente fuori gioco – tutto sommato è lui il vero amante, i suoi investimenti emotivi, privi come sono di parole, s’incollano immediatamente a una parte più profonda dell’animo, hanno più chiaramente a che fare con l’inconscio e si esprimono con lo stesso linguaggio non verbale, fatto di mugugni, di espressioni facciali, di gesti. Harry, a differenza di Sally, non ha amici che gli ricordano, costantemente, di ciò che può significare “stare soli”.
Sally sta lì per questo: riconduce l’amore a una sorta di amicizia e l’interpretazione della canzone che chiude – nonostante un’ulteriore coda – il film, sottolinea proprio questa esigenza, questo desiderio, questa speranza che alberga soprattutto nei cuori femminili: che l’amore possa mantenersi nei comodi limiti di un’affettuosa amicizia e che si liberi, una volta per tutte, delle ambiguità, delle perversità, delle incongruenze, delle contraddizioni che ne animano l’interpretazione miseramente maschile.
Titolo originale: When Harry Met Sally…
Regia: Rob Reiner
Interpreti: Billy Crystal, Meg Ryan, Carrie Fisher, Bruno Kirby
Durata: 96′
Origine: USA, 1989
Genere: commedia