Cake, di Daniel Barnz

Il tentativo della Aniston di esplorare territori altri rispetto al personaggio che la commedia le ha cucito addosso passa attraverso il lutto, indossato come marchio da esibire sulla propria carne

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Il volto segnato dalle cicatrici, i capelli sporchi e spettinati e quei vestiti sciatti, che ricadono sul corpo, privandolo di ogni forma. Il tentativo di Jennifer Aniston di esplorare territori altri rispetto al personaggio che la commedia sentimentale e brillante è andata costruendole intorno passa attraverso il lutto, indossato come marchio da esibire prima di tutto sulla propria carne. Ed è proprio a partire dalla consistenza materica del dolore, quello di Claire è, letteralmente, un corpo guastato, privato anche della libertà di movimento, che Cake cerca di addentrarsi nella storia di un’elaborazione del lutto, dove prende forma, in tutta la sua programmatica drammaticità, un personaggio scisso tra la tensione autodistruttiva e l’impossibilità di sottrarsi al desiderio di sopravvivenza. Claire, con il suo vagare senza pace, tra solitudine e panacee chimiche, insegue ossessivamente l’immagine di un gesto solo apparentemente liberatorio, ripercorrendo, con il disincanto rabbioso e arrogante di chi ha perduto tutto, le tracce lasciate indietro da Nina, la donna suicida del suo gruppo di sostegno. Ma l’altrove dove fuggire, più che un salto nel vuoto con la pancia imbottita di psicofarmaci o la testa su un binario ferroviario, assume piuttosto l’aspetto di una strada che porta ad una tanto imprevista quanto consolatoria condivisione del dolore, magari con chi, come Sam Worthington, il marito di Nina, è rimasto anche lui schiacciato da tutto il peso della perdita.

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Se la Aniston si dà un gran da fare, portandosi sulle spalle e sulla pelle le contraddizioni interiori di una donna sospesa sull’orlo un abisso, che, nel suo secco rifiuto della riabilitazione, fisica ed emotiva, sembra voler descrivere la traiettoria di un disperato tentativo di aggrapparsi al dolore per non arrendersi all’inevitabilità della perdita, la regia totalmente priva di profondità di Daniel Barnz, invece, finisce ben presto per disinnescare ogni potenzialità della storia e, con essa, ogni possibile empatia. Con la sola eccezione di alcuni momenti tra Jennifer Aniston e Adriana Barraza che, nonostante l’eccessiva costruzione del film riescono a ritagliarsi il loro spazio di sincerità, in Cake gli universi privati sono costruzioni vuote, del tutto prive di autenticità. Con il suo sguardo di superficie, fatto di espedienti più che di verità, come i compiaciuti ritorni, assolutamente accessori, ma drammaticamente ad effetto, sulle derive allucinatorie offerte dallo spettro di Anna Kendrick, Daniel Barnz non riesce neanche per un istante a perdersi e, soprattutto, a farci perdere nello straniamento di Claire. Piuttosto, osservando i suoi personaggi come fossero in un acquario, si limita a rimanere in territori più sicuri, dove non c’è proprio alcun pericolo di sporcarsi le mani con quella materia difficile, devastante e imprevedibile, che è la vita.

 

Titolo originale: id.
Regia: Daniel Barnz
Interpreti: Jennifer Aniston, Adriana Barraza, Anna Kendrick, William H. Macy, Sam Worthington, Felicity Huffman
Distribuzione: Warner Bros.
Durata: 102’
Origine: USA, 2014

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