#Cannes68 – Madonna, di Shin Su-Won

Uno dei film peggiori di Un certain regard è questo dramma al femminile ambientato in una Corea patriarcale e maschilista

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Presentato alla Quinzaine des realisateurs, Madonna è un film che vorrebbe essere tante cose e non riesce a essere nulla o quasi. L’idea è sicuramente quella di raccontare una parabola femminile esemplare e drammatica per mettere alla berlina una societá, come quella coreana, che nonostante il salto nella modernitá evidenzia ancora una forte dimensione maschilista e patriarcale. Ma poi c’ anche una specie di misteriosa indagine che attraversa quasi tutto il film, nonché una riflessione sulla maternitá e sull’ eutanasia.

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Una donna viene portata in ospedale dopo essere stata brutalmente pestata. La donna è incinta e le sue cure vengono affidate a un’infermiera neoassunta Hye-rim. Quest’ultima ha anche il compito di andare a cercare informazioni sull’identitá della donna, che era soprannominata Madonna. E cosí scopre che questa era diventata una prostituta dopo aver fatto tutta una serie di lavori e aver vissuto atroci traumi e abusi sessuali dai propri colleghi d’ufficio.

Dopo una prima parte in cui veniamo introdotti nella struttura e nelle ambiguitá istituzionali dell’ospedale, la narrazione diventa a cornice con tutta una serie di flashback raccontati attraverso il punto di vista di tanti diversi personaggi (ma Rashomon e Quarto potere lasciamoli proprio perdere) che conducono alla rappresentazione di una via crucis squallida e patetica. Seguiamo la protagonista indagare sul passato di Madonna, nel tentativo di rimettere insieme il puzzle del suo passato e scoprire chi è il padre del bambino. Contemporaneamente la donna combatte una battaglia contro l’ospedale. Il figlio del proprietario dell’ospedale vorrebbe infatti trapiantare il cuore di Madonna per salvare la vita al padre, uccidendo quindi la donna e il feto. Hye-rim fará di tutto per far sopravvivere il figlio di Madonna e donarle l’unica felicitá della sua vita.

Shin Su-Won esagera nell’accanimento e nell’infelicitá a cui relega i personaggi. Racconta una Corea violentissima, regolata da un contrapposizione netta tra i sessi e tra le classi sociali (il figlio del proprietario dell’ospedale è forse il personaggio peggiore]. Porta avanti la narrazione con stanchezza e quando decide di provare accensioni visionarie, cade in un simbolismo agghiacciante fatto di sogni subacquei, valigie gettate in acqua e cordoni ombelicali.

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