Violette, di Martin Provost

Dopo Séraphine, il cineasta francese gioca ancora sulla fisicità della protagonista in un biopic corretto che fa scontrare Dumont, i Dardenne e Berri. E Sandrine Kiberlain prevale su Emmanuelle Devos

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I nomi del titolo sono sempre quelli delle protagoniste nel cinema di Martin Provost: la pittrice Séraphine Louis in Séraphine e la scrittrice Violette Leduc in Violette. E questi biopic rappresentano un deciso cambio di rotta rispetto l’ambientazione contemporanea di Tortylla y cinema (1997) e soprattutto Le ventre de Juliette (2003), forse fino ad oggi il suo film più interessante. Come nel film precedente il cineasta gioca sulla fisicità della protagonista. In Séraphine era Yolande Moreau, qui Emmanuelle Devos. Una vita rappresentata con i contrasti tra luce e ombra ma con anche la granulosità sporca dei cromatismi di Yves Cape, direttore della fotografia che ha spesso collaborato con Bruno Dumont che in qualche modo lascia i segni anche in questo film, soprattutto nel modo di far emergere lo spirito primitivo e selvaggio di Violette.

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emmanuelle devos e sandrine kiberlain in violetteDiviso in sei capitoli, Violette segue le diverse tappe dell’esistenza della protagonista. Figlia illegittima di una cameriera, Berthe, che ha segnato pesantemente la sua esistenza, nel dopoguerra ha incontrato Simone de Beauvoir. Si è innamorata, non ricambiata, di lei. Quest’ultima però è riuscita a tirar fuori il suo talento nella scrittura. E ha fatto anche la prefazione di La Bâtarde, pubblicato nel 1964 e diventato un best seller in cui ha raccontato le sue relazioni con le altre donne.

emmanuelle devos in violette“Siete bella. Vi guarderanno per strada per la vostra bellezza. Siete brutta. Vi guarderanno per strada per la vostra bruttezza”. Si apre così, con la voce fuori-campo in attesa che diventi parola scritta del romanzo. Provost appare un po’ il figlio di ‘quel cinema di papà’. Non compiacente ma ubbidiente. E Violette, malgrado cerchi una fisicità esibita, esce sporadicamente dalla sua correttezza formale, spesso manifestata in quei carrelli che vorrebbero seguire il movimento ma a tratti lo intrappolano. Qui è come se ci fosse uno scontro frontale tra lo stesso Dumont, i Dardenne e Claude Berri. E infatti il film ci mette un po’ ad ingranare e in parte lo fa soprattutto nel momento in cui lo squilibrio diventa più evidente. Dalla scenata contro Jean Genet a teatro (“Si chiede a Racine di essere Rimbaud? O a Rimbaud di essere Racine?”) la stessa Devos esce dalla sua recitazione un po’ di maniera e ciò diventa evidente nelle allucinazioni e nelle urla mentre era ricoveata, forse il momento più forte del film. Del resto Provost segue correttamente e anche con mestiere il suo percorso. Poco o nulla da dire davanti a Violette, ma si rimpiange il suo cinema più giovane. E in una sfida tra le due attrici, Sandrine Kiberlain prevale sulla Devos. Misurata, voce sofferta, sigaretta in mano. Un bel ritratto di Simone de Beauvoir. Potrebbe essere già pronto per il prossimo biopic.

 

 

Titolo originale: id.

Regia: Martin Provost

Interpreti: Emmanuelle Devos, Sandrine Kiberlain, Olivier Gourmet, Catherine Hiegel, Jacques Bonaffé, Olivier Py

Distribuzione: Movies Inspired

Durata: 132′

Origine: Belgio/Francia 2013

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