Time is Illmatic è un documentario realizzato in occasione del ventennale dall’uscita, appunto datata 1994, dell’album d’esordio del rapper Nas, allora neanche ventenne.
Illmatic segnò la rinascita dello stile hardcore dell’East Coast, facendo dei sobborghi di New York il centro nevralgico di una produzione hip hop legata ai temi della vita violenta delle periferie, le giovani esistenze stroncate da droga, povertà, malavita di strada: una denuncia sociale forte e rabbiosa che affondava le proprie radici nella grande tradizione di musica di protesta dei neri e nei suoni metropolitani di una generazione nata e cresciuta sulle panchine tra i casermoni dei quartieri malfamati, che Nas raccontava con una perizia lirica sorprendente e un uso inedito di immagini fantasiose e potenti – da qui alcuni classici tra i capolavori del genere come N.Y. State of mind, Life’s a bitch, The World is Yours, i due singoli It Ain’t Hard to Tell e One Love, dedicata a tutti i fratelli che non ce l’hanno fatta, deceduti o in carcere.
Si tratta di frammenti purissimi di arte black american, non erroneamente paragonati ai grandi exploit di Gil Scott Heron, e non a caso il documentario si conclude con Nas che fa visita agli studenti di Harvard per spiegare agli universitari il senso del suo hip hop.

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Forte di una bella selezione di video di repertorio che farà la gioia degli appassionati, l’esordiente One9 ha mano decisamente felice nel tratteggiare il background di cui Illmatic si fece portavoce e cristallizzazione (la commovente sequenza in cui Nas e suo fratello raccontano i destini bui dei ragazzi immortalati insieme a loro in panchina sul retro dell’album). L’intera prima sezione dedicata al ritratto della dura quotidianità nel Queens e delle disastrose politiche sociali governative USA è acutamente bilanciata dal racconto della nascita di un fermento culturale e musicale underground, con i suoi primi eroi – MC Serch, Large Professor – e i suoi primi martiri (Ill Will, il migliore amico di Nas, freddato a colpi di pistola). E’ così che la storia privata dell’adolescenza del giovane Nas diventa istantaneamente l’efficace coming of age di un intero periodo storico e di un’intera comunità, dintorni di New York, primi anni ’90.
Erik Parker, che ha scritto il film, pone un’attenzione costante sulla questione culturale, l’intreccio di riferimenti tra le strofe delle canzoni di Nas, e l’importanza di essere cresciuto all’ombra del padre Olu Dara, coltissimo musicista blues e jazz, chitarrista e trombettista per assi come Henry Threadgill e James Blood Ulmer, con la possibilità di accedere ai titoli da tutto il mondo della sua biblioteca militante.

Dove il documentario funziona meno è nel descrivere gli effetti di Illmatic sul panorama musicale dell’epoca e la sua importanza ancora oggi, a vent’anni dalla pubblicazione (non proprio significativi gli inserti con le testimonianze di quanto sia stato fondamentale per artisti come Alicia Keys, Busta Rhymes, Pharrell, Erykah Badu…), ma soprattutto su quanto abbia cambiato la vita di Nas: intravediamo una star con guardie del corpo e macchinoni con l’autista, ma la passeggiata con il rapper che torna a visitare le strade del Queens e si ferma a chiacchierare con la sua gente è un po’ troppo fugace e frettolosa per spiegarci bene la distanza tra il Nas di oggi e quello 19enne che entrava in studio per la prima volta a registrare una pietra miliare dei nostri tempi.

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