Io la conoscevo bene, di Antonio Pietrangeli

Sospeso tra una rarefazione naturale delle atmosfere e una visione totalizzante, costruisce e decostruisce il mito del cinema, ma sempre attraverso gli occhi della sua protagonista.

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Guardando Io la conoscevo bene, film che Pietrangeli ha girato esattamente al centro del decennio dei ’60 dello scorso secolo, ci si domanda quanto costituisca un ritratto dell’epoca, in una sorta di controcanto a La dolce vita e 8 ½, e quanto, invece, si accrediti come un film che funga da viatico alla incipiente carriera di Stefania Sandrelli che tutto il film caratterizza e del quale sembra appropriarsi completamente. Senza sciogliere questo dubbio che si alimenta probabilmente inutilmente, essendo il film, in fondo un po’ entrambe le cose e anche qualcosa in più, apprezziamo il procedere della storia e la forza espressiva di quel cinema.

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Sospeso tra una rarefazione naturale delle atmosfere, con l’utilizzo di quei tempi morti cosi visivamente affascinanti e di improvvise accelerazioni del racconto il film di Pietrangeli si avvale, quasi naturalmente e senza alcuna forzatura narrativa, di inserimenti del passato di Adriana. Con l’utilizzo di questi espedienti narrativi e visivi, il racconto approda ad una visione che appare totalizzante, ardita, perfino, all’interno dello sviluppo di una ricerca formale della cinematografia italiana di quegli anni il cui riconosciuto capostipite era sicuramente Michelangelo Antonioni. Il Pietrangeli di Io la conoscevo in fondo molto poco ha da invidiare quando si cimenta nel trasferire nell’immagine le atmosfere di quelle sopite inquietudini. Il lavoro di scrittura è rafforzato da un bianco e nero luminoso che rasenta, nei frammenti dell’immagine, una perfezione alla quale aspira, qui complice il restauro che qualche anno fa restituì al film la sua originaria bellezza.

La complessità narrativa è sottolineata da una colonna sonora che contestualizza e ridefinisce il clima dell’epoca, tra malinconie esistenzialiste dei primi cantautori e il rock and roll che prefigurava una incipiente ribellione. Nello svolgersi di questa struttura ad intaglio il passato sembra naturalmente scivolare dentro al presente, tanto da costituire, gli inavvertiti flashback, materia narrativa altrettanto simile a quella del presente e non ricerca dietrologica delle ragioni dell’oggi. Ma detto questo, tutto questo lavoro è abilmente velato e va scoperto dallo spettatore, poiché il film si fa apprezzare per la sua semplicità espositiva che procede per opposte direzioni, costruendo e decostruendo – con un’operazione di modernità concettuale non comune – il mito del cinema attraverso gli strati sensibili della coscienza della sua

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Io la conosceve bene, Ugo Tognazziprotagonista.

Adriana è una giovane aspirante attrice che prova ad affermarsi nella Roma cinematografica dei ’60. La sua bellezza e la sua disponibilità la fa incappare in una serie di avventure con amanti occasionali. Il mondo del cinema e i suoi ambigui personaggi si prendono gioco di lei e presto si accorgerà, nella solitudine del suo appartamento, della sua irrimediabile sconfitta.

Il film di Pietrangeli è anche un atto di accusa esplicito ad un sottobosco brulicante di mezze maniche che si arrabatta nella grande arena dello spettacolo a sbarcare il lunario utilizzando l’ingenuità e il desiderio di emergere della miriade di aspiranti attori e attrici. Ritroviamo il talent scout affamato e furbacchione, un Nino Manfredi a proprio agio e sempre dentro una umanità esibita, ma soprattutto ritroviamo Ugo Tognazzi. Una poco più che breve apparizione che segna tutto il film, illuminando con il suo fallimento artistico, nella patetica sequenza che lo vede protagonista, di luce malinconica il panorama piuttosto tetro che si offre ai nostri occhi. Un mondo che, moltiplicato nelle sue varianti infinite ritroviamo negli svariati mondi del nostro frammentato universo quotidiano.

È Stefania Sandrelli, in giovane età, a dare volto e forma alla complessità del personaggio di Adriana, così sfuggente, malinconico, e che solo uno dei suoi amanti sembra dipingere con perfetta consequenzialità, quando scrive in un racconto che non verrà mai pubblicato una descrizione di una ipotetica Milena che sembra calzare alla perfezione, invece, su Adriana. È questo personaggio così docile e superficiale, istintivo e fiducioso e in questo senso Adriana non è molto distante da Pina, l’ingenuo personaggio di La visita, mirabilmente abitato da Sandra Milo.

Pietrangeli sembra sfuggire da una attualità così forte e stringente come era quella di quegli anni, in cui si manifestavano fortemente le prime tensioni di un’epoca che avrebbe segnato la cosiddetta emancipazione femminile. Il suo film (il suo cinema?) si pone in una corrente differente, è interessato allo scandaglio dell’anima, piuttosto che a quello delle anime collettive.

Io la conoscevo bene, 1965È così che Adriana va incontro al suo destino e il suo volto mascherato sembra non rappresentarla più, ma la velatura che separa il prima e il dopo è segnato dai suoi gesti precisi, inequivocabili: si toglie la parrucca e si mette allo specchio e le sue lacrime, le prime dell’intera vicenda, rigano il volto disfacendo il trucco e la maschera si fa nuda, il personaggio di Adriana è arrivato in fondo e il lungo piano sequenza precedente, pieno di un’ansia incontenibile, con la piccola 500 schiacciata dentro una Roma mattutina e silenziosa, non ha più la consistenza un po’ svagata di cui è fatta la storia. Nel finale l’aplomb si fa denso, improvvisamente drammatico, ineluttabile e qui c’è quel tocco magico che consente di rileggere tutta la storia di Adriana alla luce di quelle lacrime, di quell’oppressione di cui si libera con il volo dal balcone.

Ora ci suonano false e fuori luogo le parole di quel suo occasionali uomo che diceva: Il fatto è che le va bene tutto, è sempre contenta, non desidera mai niente, non invidia nessuno, è senza curiosità, non si sorprende mai. Le umiliazioni non le sente… Eppure, povera figlia, dico io, gliene capitano tutti i giorni… le scivola tutto addosso senza lasciare traccia, come su certe stoffe impermeabilizzate. Ambizioni zero, morale nessuna, neppure quella dei soldi perché non è nemmeno una puttana. Per lei ieri e domani non esistono, non vive neanche giorno per giorno perché già questo la costringerebbe a programmi troppo complicati. Perciò vive minuto per minuto: prendere il sole, sentire i dischi e ballare sono le sue uniche attività. Per il resto è volubile, incostante, ha sempre bisogno di incontri nuovi e brevi, non importa con chi. Con se stessa, mai.

Adriana sembra volare via ferita e, come sempre, sola.

 

 

Regia: Antonio Pietrangeli
Interpreti: Stefania Sandrelli, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Mario Adorf, Jean-Claude Brialy, Franco Fabrizi, Turi Ferro, Enrico Maria Salerno.
Durata: 115’
Origine: Italia, 1965
Genere: drammatico

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.4 (10 voti)
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