"Gente di Roma", di Ettore Scola

“Gente di Roma” è un film in doppia fila, che mette la freccia a destra poi gira a sinistra, in una deriva dei sentimenti nella quale, con le immagini, si vuole dire troppo e non si lascia immaginare nulla: per celebrare la Capitale, allora, era meglio l' “Estate romana” di Garrone.

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Gente di Roma è un Frankenstein che accorpa immagini documentaristiche, bozzetti di commedia all'italiana e passeggiate oleografiche nella città eterna. La presentazione ufficiale, alla presenza delle supreme cariche della Capitale, gli regala l'imprimatur di film con morale di scorta, di opera su commissione; ma l'accostamento continuo di immagini antitetiche – costruite su bellezze e brutture del mostro metropolitano, e su personaggi caratteristici che incarnano o dissertano dei vizi e delle virtù del romano medio – gli sottraggono quella potenza evocativa e quell'amore per la città di cui l'autore è riconosciuto titolare: antitesi forzose quando non stantie (una per tutti: la carrellata verticale che, da un tabellone luminoso con gli indici di borsa, porta alla figura intera di una bambina che chiede l'elemosina al semaforo).
Scola – regista e, con le figlie, sceneggiatore – insiste su temi macrosociali: integrazione razziale, precarietà del lavoro, emarginazione degli anziani; filo conduttore, un autobus di linea che, dalla mattina alla sera, attraversa i meandri di una Roma che sappiamo polimorfa, caotica, ipercontraddittoria. Tra le immagini trovano spazio manifestazioni di piazza – con un Nanni Moretti impietosamente registrato dal vivo mentre recita fuori ruolo il personaggio del politico da pulpito; fortuna che presto Vittorio Foa, gigante della sinistra intellettuale ma non intellettualistica, chiaramente sconosciuto a chi di politica non si cura, lo sostituisce sulla scena – e sedute di psichiatria svolte in strutture pubbliche, dove un digitale sgranato ed un neon gelido mettono a nudo, ancora impietosamente, ma stavolta con dolcezza malinconica, i gravi inciampi mnemonici degli anziani colpiti da Alzheimer.
Cambio d'accento: da Foa a Foà; Gente di Roma giunge al culmine e realizza un contatto caldo con il tema dell'anzianità. Grande vecchio del teatro (ma anche del cinema) di casa nostra, Arnoldo Foà, classe 1916, con un timbro non molto svilito dai decenni passati sulle sue corde vocali, interpreta un anziano "provocatore e permaloso" arrivato al redde rationem col figlio che sta per rinchiuderlo in una casa di riposo. Cinque, dieci minuti, quelli con Foà: rimangono impressi come un cortometraggio memorabile, dove riso e tristezza si spingono, si strattonano, per guadagnare la prima fila.
Il film in sé, invece, è fuori posto: per usare immagini molto comuni per chi vive in una metropoli italiana, Gente di Roma è un film in doppia fila, che mette la freccia a destra poi gira a sinistra, in una deriva dei sentimenti nella quale, con le immagini, si vuole dire troppo e non si lascia immaginare niente. A Veltroni suggeriamo – ma sicuramente lo conosce già – l' Estate romana di Matteo Garrone, film di un altro non-romano che un paio d'anni fa, senza intenti catechistici e sociologici e senza "dire" nulla, ha mostrato uno sguardo originale sulla Capitale e sui suoi abitanti, indigeni o forestieri che fossero.

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Regia: Ettore Scola
Sceneggiatura: Ettore Scola, Paola Scola, Silvia Scola
Fotografia: Franco Di Giacomo
Montaggio: Raimondo Crociani
Musica: Armando Trovajoli
Scenografia: Ezio Di Monte
Costumi: Susanna Soro
Interpreti: Salvatore Marino, Valerio Mastandrea, Antonello Fassari, Sabrina Impacciatore, Arnoldo Foà, Fiorenzo Fiorentini, Stefania Sandrelli, Rolando Ravello, Antonello Fassari
Produzione: Roma Cinematografica, Istituto Luce
Distribuzione: Istituto Luce
Durata: 93'
Origine: Italia, 2003


 



 

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