I film vvvvid su Sentieri selvaggi: The Driller Killer, di Abel Ferrara

Da vedere su Sentieri selvaggi il secondo lungometraggio di Abel Ferrara, da lui stesso interpretato, “The Driller Killer” è un film che risente della cultura underground newyorchese degli anni ’70

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Solo due anni prima il giovane Ferrara aveva diretto il suo primo lungometraggio, un vero e proprio hardcore, Nine Lives of a Wet Pussy (Nove vite di una passera bagnata). E, nonostante gli ovvi limiti dell’operazione, il giovane italo-americano aveva cominciato a sperimentare alcune soluzioni visive che sarebbero diventate costanti nel suo cinema. Finalmente, nel 1979, grazie alla collaborazione dell’eterno amico Nicholas St. John, riesce a portare a compimento un progetto decisamente più importante. La storia di un pittore, Reno Miller (interpretato dallo stesso Ferrara, con lo pseudonimo di Jimmy Laine), che, pressato dal suo gallerista, tradito dalla fidanzata Carol, stressato da un gruppo punk e dall’inferno metropolitano, si trasforma in un serial killer.

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Ci muoviamo, comunque, nell’ambito del cinema indipendente americano, di quel cinema low budget (si gira in 16 millimetri), che vive in osmosi con l’underground newyorchese che in quegli anni ’70 raggiunge il proprio apice. E The Driller Killer, in ogni suo fotogramma, denuncia la sua origine culturale, fatta di rock, droga, arte e maledettismo un po’ glamour. Ma al tempo stesso è specchio fedele del periodo storico, è la fotografia di una città sempre più capitale del mondo, ma sempre più problematica, “brutta, sporca e cattiva”. Si uccide per le strade i barboni sono ad ogni angolo di via, sempre più ghettizzati, emarginati, visti di cattivo occhio dalla borghesia perbenista. E’ un dato di fatto che il Lower East Side fosse pieno di barboni, allontanati dai quartieri ricchi.

La New York descritta da Ferrara è un universo ansiogeno, una città i cui ritmi e i cui tessuti sociali conducono all’alienazione. Il percorso regressivo compiuto da Reno è simile a quello di Trevis in Taxi Driver. Ma se lì l’intento di Paul Schrader e Martin Scorsese è quello di mostrare uno “straniero” che reagisce al suo anonimato compiendo un’azione “eroica”, qui troviamo un artista ossessionato dallo spettro del fallimento e dall’horror vacui. Lì vi era un tentativo di “salita”, qui troviamo una “discesa”: in entrambi i casi si tratterà di una caduta. E l’influenza di Scorsese è evidente: nella descrizione degli ambienti urbani, nella fotografia di una generazione ormai priva di punti di riferimento morali e di ideali, nella commistione di sacro e profano. Non è un caso che il film si apra in una chiesa, come accadeva in Mean Streets. La religiosità, intesa come retaggio di una cultura italo-americana intimamente cattolica, pone in campo i problemi della colpa, del male, della redenzione, temi che saranno al centro di tutto il futuro cinema di Ferrara, ma che qui sono ancora un abbozzo. Del resto il senso di colpa e il pentimento non sembrano interessare più di tanto Reno. In più qui c’è un tentativo di comprendere l’essenza della creazione artistica, una riflessione primitiva sulla posizione dell’artista contemporaneo, un confronto con i simboli dell’immaginario americano. Il quadro raffigura un bisonte, animale fondamentale per le società dei nativi, è il simbolo della cultura indigena americana. Non è un caso che sia fatto oggetto di un rapporto d’amore e odio dai protagonisti (Reno minaccia di sfregiarlo, per poi dichiarare subito dopo “I love you”). Un coacervo di temi, idee e spunti, germi in attesa di sviluppo ulteriore, colti da un Ferrara la cui narrazione passa senza soluzione di continuità dalla realtà al sogno. Fotografia sporca, sgranata, colori scuri o psichedelici, un montaggio veloce e incalzante, musica rock a manetta: uno stile nervoso, “mosso”, che dona al film notevole inquietudine, tensione, sebbene quell’eccessiva sensazione di disordine, proprio perchè “di moda”, oggi appaia a tratti datata. Ma il finale, quel buio che contiene in potenza tutto lo spettro delle possibilità future, è già il segno del genio.

 

Anno: 1979
Durata: 96′
Cast: Jimmy Laine (Abel Ferrara), Carolyn Marz, Baiby Day, Harry Schultz
Regia: Abel Ferrara

 

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