"La cura del gorilla", di Carlo A. Sigon

Un vizio di molti italiani esordienti è la reiterata volontà di stupire visivamente in film che hanno lo spessore estetico di un videoclip gonfiato. Anche la parola resta come confezionata senza pausa nella pagina della sceneggiatura.

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C'è sicuramente del merito nella strategia adottata dalla Colorado Film di Maurizio Totti (con l'alto patrocinio di Gabriele Salvatores che l'ha avviata con Quo vadis, baby?) di trovare una nuova via italiana al giallo. Strada recentemente sempre più battuta dal Romanzo criminale di un Placido immerso nell'acido dei seventies ad un Michele Soavi pronto al grande rientro prossimo venturo sul grande schermo con Arrivederci, amore ciao, noto titolo editoriale di Massimo Carlotto. Sarà l'aria che tira ben fiutata, sarà una scommessa avventata, fatto sta che la Colorado persegue nella doppia strategia della case editrice che lancia i giovani "giallisti" e della produzione cinematografica che possa valorizzare questi ed altri. Tra gli altri è stata scelta la seconda puntata tra quattro della saga del "Gorilla" di Sandrone Dazieri (che darà il proprio nome anche al protagonista), scrittore di provenienza cosiddetta extraparlamentare legato al mondo dei centri sociali. Il protagonista è evidentemente, e a detta dei realizzatori necessariamente, "improponibile" (anche a livello clinico): un detective che sin dall'infanzia si sdoppia schizofrenicamente in una doppia personalità: l'una, quella del Gorilla, tendente alla tenerezza empatica, al tabagismo sfigato e all'incoscienza del mestiere; l'altra, quella del Socio, più dura e tendente al sodo, da ottenere senza particolari mediazioni. L'una prende il sopravvento sull'altra quando le palpebre si chiudono e trovano la complicità di Morfeo. E l'uno, prima di passare il testimone all'altro, dovrà appuntare gli avvenimenti del giorno per farne prendere coscienza all'alter ego. Il Nostro, anzi i Nostri, dovranno risolvere il caso della morte per omicidio di un emigrato albanese (interpretato dal solito Kledi) e scoprire tutti i collegamenti tra malavita, sfruttamento della prostituzione e gestione criminale dell'assistenza ecclesiastica, dove svolge attività di volontariato la fidanzata dell'ucciso, Vera (Stefania Rocca). Il regista mette molta carne al fuoco e vorrebbe inserire dualità e conflitti in ogni realtà rappresentata (e per questo l'unico a poterla gestire è uno  schizofrenico). Così partono invettive o macchiette o messaggi tetragoni su razzismo, marginalità sociali e su intrallazzi e malacarità. Non a caso il colpevole si lascia intuire da subito tanto è improponibile nella veste indossata (vedere per credere). Ma quello che più infastidisce ed è un vizio di molti italiani esordienti è la reiterata volontà di stupire visivamente. Come il Manni de Il fuggiasco (rivedere per credere), Sigon tiene a mostrare la sua estrazione pubblicitaria. Ed allora impone soprattutto nella prima parte uno spessore estetico da videoclip gonfiato dove anche la parola resta come confezionata nella pagina della sceneggiatura. Anche il sangue non brucia, è un corredo troppo necessario. Non ci si concede pause nelle situazioni né nei dialoghi e tutto ciò non può che nuocere all'esistenza dei personaggi, già di per sé stereotipati quando non improbabili. Per fortuna ci pensa un imprevedibile Claudio Bisio ad emergere pian piano dalla maschera e, sia pure a strappi, ci concede momenti intensi. Momenti che ci fanno riflettere sulla sua carriera, troppo incentrata su teatro (nel film ritrova ancora i suoi compagni del Teatro dell'Elfo) e televisione. Un comico non trascendentale che nel cinema italiano avrebbe potuto e potrebbe ancora ritagliarsi un ruolo importante. Liberandosi dei facili clichè e scommettendo sulle potenzialità nascoste.

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Regia: Carlo Sigon


Interpreti: Claudio Bisio, Stefania Rocca, Ernest Borgnine, Bebo Storti, Antonio Catania


Distribuzione: Warner Bros. Italia


Durata: 104'


Origine: Italia, 2005

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