#Russia2018 – L’amore ai tempi di Tracksuit Manager

Il mondiale senza l’Italia ci ha posto il problema di trovarci una seconda nazionale. O di dichiarare amori inconfessabili a cui non vedevamo l’ora di abbandonarci.

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Lo shock della mancata qualificazione italiana a Russia 2018 ha colpito tutto la nostra nazione. Come sono i mondiali senza gli azzurri e senza il nostro patriottismo della domenica? Siamo anche arrivati a chiederlo ai giornalisti e ai calciatori stranieri come se gliene dovesse fregare qualcosa. E tutti sono così gentili da fare la faccia triste e da garantirci che non sono la stessa cosa. Il dilemma di trovare qualcuno per cui tifare attanaglia i miei connazionali. Io non ho mai avuto il problema di un mondiale da orfano perché ho sempre avuto una seconda squadra. Il mio amore per l’Inghilterra non ha più motivo di essere nascosto. Inoltre, gli inglesi non si qualificarono per USA 1994 e mi hanno già preparato a questa strana sensazione di lutto sportivo. Conosco già la domanda: perché proprio una nazionale così storicamente antipatica?

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La solennità di un inno poderoso ed essenziale come God Save the Queen? La sua esecuzione dal vivo all’Olimpico in un pareggio decisivo per Francia 1998 fu irresistibile. L’Italia fu mandata agli spareggi contro la Russia ma ne valeva la pena. La tradizione che custodisce gelosamente i colori delle divise dal lontano 1872? La seconda maglia che sfoggia una particolare e unica sfumatura di rosso che starebbe male a tutti gli altri? L’Inghilterra ha sempre giocato mediamente male ma ha sempre vinto il mondiale delle forniture tecniche.

La Umbro salvò la nazionale anche in un momento in cui ossessione per il taglio largo e la texture variopinta colpì persino le squadre che ne avevano una a tinta unita. La divisa più antica del mondo mantenne la sua dignità anche nel pieno di un florilegio di disegni in filigrana e gradazioni di colore. È forse casuale che l’Inghilterra abbia avuto il primo calciatore modello? La consapevolezza del primo piano di Cristiano Ronaldo nell’attesa del calcio piazzato non è una sua idea. Il primo ad essere ossessionato dalla sua immagine anche durante lo sforzo agonistico è stato David Beckham. L’ex capitano è stato il primo a sfruttare e non a subire il fatto di avere sempre le telecamere puntate. Non c’è sequenza d’azione che possa sgualcire lo smoking di James Bond così come non c’era campo bagnato che potesse scalfire lo stile impeccabile di Sir David.

Sono tutti argomenti convincenti ma nel mio caso non sarebbero del tutto sinceri ed esaustivi. Un po’ c’entra l’ingiustizia subita per la mano de dios dei quarti con l’Argentina a Messico 1986. Se ci fosse stato il VAR non starei ancora in cerca di una rivincita per quella notte? Sicuramente, vedere in diretta Maradona mentre segnava il gol del secolo non è bastato a rimediare al torto subito. Comunque, quella partita c’entra qualcosa con la mia sofferta simpatia per gli inglesi.

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La sconfitta in quella competizione ispirò un manageriale che finì subito tra i miei preferiti. Tracksuit Manager era un titolo fuorviante perché lo sfavillante completo di Gareth Southgate esibito contro la Tunisia ha dimostrato che nessun commissario tecnico della inglese si presenterebbe mai in panchina con la tuta. Le limitazioni della CPU consentivano solo di caricare solo i database delle nazionali e di allenare soltanto quella inglese nella preparazione di Italia 1990.

Penso di aver anticipato la mitomania calcistica di Football Manager di almeno una ventina d’anni. Questa tipologia di gioco ha fatto alla competenza di campo quello che i social network hanno fatto alla conoscenza tout court. Le chiacchiere da bar hanno sempre stimolato la propensione alla millanteria ma i simulatori gli hanno dato un riscontro sul campo. L’Inghilterra vera rimedia brutte figure da decenni ma nella mia cameretta ha vissuto ogni tipo di trionfo.

La fruizione del calcio alla fine degli anni ottanta era limitata allo scenario nazionale. L’orgia febbrile dei mercoledì di coppa si esauriva con la stessa velocità con cui le squadre italiane uscivano dalle competizioni continentali. Quelle inglesi erano addirittura escluse dai tornei UEFA dopo la strage dell’Heysel. Il lavoro del selezionatore da casa era difficilissimo e per attribuire almeno un volto alla lunga lista dei convocabili dovevo aspettare gli highlights settimanali di Koper-Capodistria. La missione era ancora più faticosa con un solo televisore in casa da dividere con genitori e sorelle ma ebbe un esito sconvolgente.

Quando l’Inghilterra debuttò a Cagliari contro l’Eire ero così preparato che quella era la mia nazionale. I ragazzi in campo erano gli stessi a cui avevo impartito consigli e con cui avevo condiviso gli alberghi prima di una trasferta importante. Bobby Robson era il mio vicario ed eseguiva a perfezione le mie direttive. La duttilità del manovratore Platt? L’avevo scoperta mesi prima. La follia incontrollabile di Gascoigne? Mi era tornata utile molte volte. L’estro indolente di Waddle? Andava stimolato con qualche panchina punitiva. La fisicità difensiva di Walker? Era stata decisiva in tante battaglie.

E Lineker? Credo di non aver mai amato tanto un giocatore che non era nel mio club. È diventato un brillante commentatore televisivo è ancora oggi lo considero il calciatore migliore che io abbia mai allenato. Così, in quell’estate al Circeo in cui si andava al mare solo di mattina perché dopo pranzo iniziavano le partite io ero diventato uno straniero. Il lutto nazionale della semifinale di Napoli persa ai rigori contro l’Argentina ha agitato i miei incubi meno del penalty decisivo fallito da Pierce il giorno dopo contro la Germania.

L’antipatia di un titolo spocchioso come quello di maestri del calcio ha negato agli inglesi la simpatia che si riserva alle squadre sfortunate. L’Inghilterra ha giocato partite eroiche contro avversari più forti e quasi sempre le ha perse dal dischetto. A Francia 1998 resistette un’ora contro l’Argentina con un uomo in meno per poi uscire per un errore ad oltranza di Batty. A Germania 2006 lo stesso scenario di inferiorità numerica contro il Portogallo costò un’altra eliminazione bruciante alla lotteria degli undici metri. L’incredibile papera di Seaman su Ronaldinho ai mondiali asiatici del 2002? Il gol fantasma di Lampard a Sudafrica 2010 contro i tedeschi? Il rigore alto di Southgate nell’europeo in casa del 1996 dopo il fantastico palo di Gascoigne che valeva un golden gol sempre contro di loro?

Io sono l’ultimo allenatore che ha vinto un mondiale con l’Inghilterra e spesso mi chiedono se la nazionale questa volta ha qualche speranza. Forse ce l’aveva fino al gol di Kroos di ieri sera contro la Svezia che ha ripescato in extremis la nostra bestia nera. Eppure, con Kane in campo il calcio potrebbe finalmente tornare a casa

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