12.12: The Day, di Kim Sung-soo

Il coup d’état del ’79 è lo spunto per riflettere sulle istanze conservatrici dell’odierna Corea: che (ri)prendono vita in un racconto sì ridondante, ma instancabilmente oltranzista. Dal Far East 2024

--------------------------------------------------------------
INTELLIGENZA ARTIFICIALE PER LA SCENEGGIATURA, CORSO ONLINE DAL 28 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Potremmo sintetizzare le istanze militariste che hanno governato, con diversi gradi, il tessuto sociale e politico degli ultimi 45 anni della Corea del Sud, in un unico evento: il coup d’état del 12 dicembre 1979. E come tutte le micce storiche che hanno acceso un focolare (culturale, ideologico, e anche esistenziale) nel cuore di una nazione, tale presa di potere da parte del generale Chun Doo-gwan (Hwang Jung-min) ripercorsa dal racconto di 12.12: The Day si è consumata sì in un tempo relativamente breve, ma ha generato un’ombra talmente estesa e totalizzante, da gettare la Repubblica coreana in un lungo periodo di oscurità: di cui gli anni Ottanta, sorti sotto il nome del mefistofelico dittatore, hanno rappresentato il trionfo assoluto; mentre il tempo presente ne costituisce il testamento: proprio perché ci rammenta, di riflesso, alcune di quelle traiettorie e dinamiche che hanno preso piede in Corea durante le amministrazioni dell’autarchico generale. E con cui la nazione ha continuato a fare, inesorabilmente, i conti nelle decadi successive.

--------------------------------------------------------------
CORSO IN PRESENZA MONTAGGIO AVID, DAL 9 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Ciò che spinge il cineasta Kim Sung-soo a ritornare in 12.12: The Day agli eventi di quel terribile giorno dicembrino, in cui la Corea del Sud ha conosciuto il trionfo del male (l’autoritarismo) sulla panacea degli errori passati (rappresentata dal “sogno della democrazia”) è proprio la necessità di indagare le foci delle ideologie militariste della nazione, di cui ad oggi, seppur con le dovute differenze, esistono ancora dei germi. E ce lo racconta servendosi dei più consueti codici del thriller politico made in Corea: in modo da generare senso – e quindi i temi del lungometraggio – a partire da una storia apertamente popolare, capace di veicolare, grazie all’immediatezza comunicativa della suspense, le istanze polemiche su sui nasce il film a fasce di pubblico anagraficamente trasversali. Con l’obiettivo – decisamente raggiunto – di unire l’intero popolo coreano sotto il segno di una narrazione tanto oltranzista quanto intergenerazionale.

Ecco allora che 12.12: The Day – ad oggi il più grande successo commerciale in Corea del periodo post-pandemico – adotta il punto di vista del “villain”, attraverso il cui sguardo osserveremo l’ascesa del futuro presidente, nonché il trionfo – come visto nei flashback di Peppermint Candy – delle sue ideologie deviate. Ci troviamo nelle stanze del Ministero della Difesa, pochi giorni prima di quel fatidico 12 dicembre 1979: il paese sta metabolizzando l’omicidio del dittatore Park, e il generale Chun è stato incaricato del compito di indagare le circostanze dietro la sua morte. Ma come in tutti gli eventi più oscuri della Storia, l’uomo si serve della sua posizione per organizzare, insieme alla sua frangia clandestina di militari (la potente organizzazione Hanahoe) un colpo di Stato che porti la Corea ad abbandonare le speranze di un vento democratico (sintetizzato dalla cosiddetta “Primavera di Seoul”) per innervarsi del pensiero militarista di cui è il portavoce. Ma ad opporsi ai piani di Chun interviene uno dei vertici massimi della Difesa, il Generale Lee Tae-shin (Jung Woo-sung) che incarnerà, in opposizione al collega, le flebili fantasie di una rivoluzione democratica.

Non è un caso che il cineasta articoli lo scontro tra logiche (e persone) antitetiche alla stregua di una partita di scacchi. Ad ogni mossa del diabolico protagonista di 12.12: The Day, corrisponde un contrattacco di Lee, destinato però a fallire, proprio perché in faccia all’ascesa del male, le virtù di cui progressivamente si caricano le azioni dell’ufficiale devono essere irrimediabilmente schiacciate. Ed è qui che il film, seppur risulti fin troppo dilatato e ridondante, trae tutto il suo spessore critico: nella visione di un paese connaturato alla belligeranza, di cui Chun, in quanto punto apicale e dominatore assoluto della narrazione, è il manifesto storico; mentre Lee, incarnando l’immagine di un uomo virtuoso e democratico, rappresenta le aspirazioni fallite. Quasi ad ammonire il pubblico coreano sul pericolo militarista in cui la nazione rischia ancora di incorrere, anche nel tempo presente, se l’establishment non espelle dal suo grembo le ultime istanze di conservatorismo a cui continua ad offrire, tragicamente, il fianco.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.4
Sending
Il voto dei lettori
0 (0 voti)
--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array

    Scrivi un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *