2551.01, di Norbert Pfaffenbichler

Primo capitolo di un nuovo progetto di Pfaffenbichler. Una rivisitazione de “il monello” di Chaplin che vuole disturbare l’osservatore. Una favola politica “apocalypse punk”. Al FantaFestival 2022

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Norbert Pfaffenbichler porta in scena la sua personale interpretazione de Il monello (The Kid), il primo lungometraggio di Charlie Chaplin che cento anni fa entrava nella storia del cinema. 2551.01, l’ultima opera dell’artista austriaco, è il proseguimento del lavoro su Chaplin iniziato anni fa, che trova qui espressione in una versione distopica e punk della storia del vagabondo e del bambino.

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In uno spaventoso futuro non meglio identificato, il mondo è spaccato in due fazioni: sulla superficie dominano le forze di polizia, vestite di bianco, coperte da caschi e maschere antigas e armate di manganello. Nel sottosuolo sopravvive invece una casta di derelitti, dai volti costantemente coperti da maschere fin dalla più tenera età. Ape-man, uno di questi emarginati del sottosuolo, riesce fortunosamente a salvare un ragazzino durante un violento scontro. Insieme a lui si trova ad affrontare un viaggio surreale, in un’umanità derelitta e senza speranza, in cui l’unica cosa che conta è il legame che i due riescono a creare.

I cento anni che separano Il monello da 2551.01 hanno profondamente cambiato il modo di vedere la società, Pfaffenbichler mette in scena una perversione dei temi già presenti nel film di Chaplin: una forza di polizia noncurante e violenta; il dramma degli orfani, l’emarginazione delle classi più povere. Tuttavia, se nel 1921 questi erano elementi su cui si faceva ironia, capaci di suscitare una risata nello spettatore, e visti sempre attraverso un filtro di ottimismo e di speranza, nel 2021 viene meno questa visione del futuro. Il film si mescola con le terribili esperienze reali e la mancanza di fiducia nel domani della società contemporanea, creando visione distorte ed alienanti.

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2551.01 è un film violento con lo spettatore, che non gli consente il lusso di adagiarsi in una visione acritica di ciò che sta osservando. Per questo lo colpisce con luci stroboscopiche, immagini disgustose di vermi, esperimenti e dissezioni su animali morti, maschere inquietanti e un campionario di prigionieri e torturati che si rifà direttamente all’iconografia delle torture americane ad Abu Ghraib.  L’editing musicale di Eric Spitzer contribuisce allo straniamento dell’osservatore. Un potpourri che va da Bach al metal, rielaborando la musica d’accompagnamento del periodo del cinema muto creando contrasto tra ciò che la colonna sonora sembra suggerire e ciò che sta accadendo sullo schermo.

La sfida maggiore dovuta affrontare dal regista è probabilmente quella della recitazione. Un film muto, in cui tutti i protagonisti indossano maschere, impone la necessità di recitare con tutto il corpo, gesticolando e con movimenti enfatici. Come dei moderni attori slapstick i personaggi di Pfaffenbichler inciampano su banane, si colpiscono con martelloni e usano tutto il corpo per trasmettere allo spettatore lo stato di degrado e inciviltà che permea 2551.01.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
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