#Venezia72 – Credere nell’uomo etico. Intervista ad Aleksandr Sokurov

Con ancora negli occhi l’ultimo capolavoro presentato in concorso pochi giorni fa e già tra i favoriti per la vittoria finale, abbiamo intervistato Aleksandr Sokurov

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Con ancora negli occhi l’ultimo capolavoro presentato in concorso pochi giorni fa e già tra i favoriti per la vittoria finale, abbiamo intervistato Aleksandr Sokurov. Il regista russo, Leone d’oro nel 2011 con Faust, ci ha parlato di Francofonia, opera complessa che mette insieme la storia dell’arte e quella dell’uomo per parlare alla realtà di oggi.

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Il processo lavorativo di Francofonia è complesso. Assembla materiale documentaristico, fiction. Ce ne può parlare?

Questo mio ultimo film coinvolge tanti livelli e temi diversi. Mi sono sentito come una massaia che fa una torta e deve lavorare ogni singolo ingrediente e su ogni singola superficie. Per me comunque la fonte di ispirazione iniziale non è la componente visuale ma quella letteraria. Per riflettere sul mondo e sulla storia bisogna leggere, leggere e leggere perché dentro un’immagine o un frammento di repertorio non troverete mai una risposta. Mai credere a un filmato storico: questo può soltanto presentare l’esistenza di un fatto, ma non la sua verità. Prendiamo ad esempio l’entrata dei nazisti a Parigi: è probabile che sia andata come ce lo raccontano le immagini che ci sono rimaste oggi, ma è altrettanto probabile che quelle stesse immagini possano ingannare e che le cose siano andate diversamente. Per questo nel caso di Francofonia ho voluto intraprendere un approccio artistico e non documentaristico nei confronti del materiale di repertorio. La mia non è una documentazione, né un film storico, quanto piuttosto una reazione artistica su una determinata situazione storica.

Perché nel film ha voluto essere presente con la sua presenza diretta e la voce fuori campo?

In questo caso la mia sensibilità e la libertà del linguaggio cinematografico mi hanno spinto a mettermi in gioco in prima persona, fare delle scelte precise. Il progetto di Francofonia mi coinvolgeva perché stiamo vivendo un processo storico complesso: da una parte alcune cose sembrano riguardare solo il passato ma non è così, dall’altra per il futuro abbiamo segni premonitori angoscianti. Dobbiamo difendere la nostra tradizione il suo sviluppo e preservare l’identità europea e nazionale dai giovani artisti che negano la tradizione. Per quanto mi riguarda ogni principio rivoluzionario è un chiaro segno di distruzione perché nega ciò che è stato fatto. Senza la scuola, ad esempio, e senza l’evoluzione e lo sviluppo dell’arte non potremo mai progredire e andare avanti. Per quanto mi riguarda l’uomo e l’arte convivono in un presente continuo. Non c’è passato ma solo un inarrestabile divenire.

In questo presente continuo però lei inserisce in Francofonia due personaggi: Metternich e Jaujar che di fatto comunicano tra loro nonostante la guerra e cambiano il corso degli eventi. Questo significa che lei ha fiducia nell’uomo?

È una domanda difficile. Credo che in assoluto possiamo credere soltanto all’uomo morale, a un ideale di uomo etico. In linea di principio direi che è pericoloso avere fiducia negli uomini e in particolar modo dei politici. Il segno più ovvio della morale è la sua prevedibilità. Ma questo per me è un elemento positivo. Un uomo prevedibile è un uomo di cui ci possiamo fidare e tutto sommato questa considerazione possiamo estenderla anche agli Stati. Prendendo in esame Metternich è un personaggio che al suo interno vive un vero e proprio dualismo tra la sua natura di soldato invasore e quella che riguarda la sua cultura e istruzione. Ma cosa diremmo di lui se la Germania avesse vinto la guerra? Sicuramente tutti i tesori del Louvre sarebbero stati saccheggiati dai tedeschi. A suo modo Metternich non ha fatto altro che rimandare una decisione storica – l’esportazione delle opere d’arte da Parigi e Berlino – che con la vittoria della guerra da parte della Germania sarebbe stata comunque inevitabile. In quel caso l’indole morale di Metternich non sarebbe stata sufficiente.

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