Sendai City. I corti di Marco Bolognesi

Muovendosi tra citazionismo cinefilo e letteratura fantascientifica, Bolognesi realizza due opere capaci di ridefinire l’arte visuale. Al Trieste Science+Fiction e a Ravenna Nightmare 2021

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Prendete l’immaginario cyberpunk che ha dato forma al cinema di fantascienza anni ’80, aggiungeteci il citazionismo cinefilo che si muove tra Blade Runner, Atto di forza, Robocop e Mad Max, aggiungeteci l’ossessione per la sorveglianza, l’identità e il controllo di matrice orwelliana, la riflessione sull’intelligenza artificiale e le leggi della robotica di Asimov, fino a lambire i confini della serialità distopica di Black Mirror e Love, Death & Robots. Il risultato sono i due bellissimi cortometraggi di debutto di Marco Bolognesi, Parallelism e Dystopia, presentati all’ultimo Trieste Science+Fiction Fest e al Ravenna Nightmare Film Fest.

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Caratterizzati da scenari post-moderni e atmosfere che mescolano dimensione onirica e realtà, i due lavori fanno parte di un ciclo di cinque cortometraggi, iniziato nel 2017 con Blue Unnatural, che vedrà la completa realizzazione nel 2022 con i due capitoli successivi, To Be Unnatural e No One Is Innocent. Per i due corti Bolognesi, visual artist e regista bolognese classe 1974, noto per le sue collaborazioni con Vivienne Westwood e già autore di un graphic novel cyberpunk a quattro mani con Carlo Lucarelli, ha preso ispirazione dal racconto del 1982 Burning Chrome di William Gibson, dal quale ha mutuato il nome del suo universo-mondo, Sendai City, una metropoli post-Sendmoderna in cui si articola tutto il suo immaginario.
Realizzati in tecnica mista che mescola pittura ad olio, disegno a mano, animazioni 2D e 3D, Parallelism e Dystopia si muovono tra proiezioni futuristiche del presente e rielaborazioni mnemoniche del passato, sullo sfondo di oscuri e inquietanti scenari fantascientifici in cui si materializzano le più torbide pulsioni dell’inconscio dei suoi protagonisti. Se in Dystopia il fulcro della narrazione è il conflitto del protagonista, suicida trasfigurato in robot, tra obbedienza assoluta all’ordine costituito e memoria umana, in Parallelism la riflessione si sposta sull’opposizione tra una realtà utopica ed una distopica, rese visivamente in maniera differente (la prima dalle linee essenziali e dai colori brillanti, la seconda articolata e cupa) in costante dialogo tra loro, coadiuvato dall’uso della musica dei Central Unit che diviene fulcro di fusione tra i due mondi solo apparentemente paralleli, in una circolarità e interconnessione data dalla protagonista che compare in apertura e in chiusura al corto.

Ciò che affascina del lavoro di Bolognesi è senza dubbio l’articolata costruzione dell’impianto visivo, vero protagonista dei due corti, a fronte di una narrazione volutamente indefinita e non lineare. La natura cross-mediale del suo lavoro qui si esplicita nell’utilizzo di materiali eterogenei come estratti di dialoghi e fotogrammi di film di genere anni ’60 che nei due corti trovano una nuova collocazione e un nuovo significato, oltre a mischiare animazione digitale e artigianale, disegno e live action, in un complesso quanto affascinante prodotto ibrido che rielabora e ridefinisce l’arte visuale, condensando suggestioni cinematografiche, videoludiche e fumettistiche.

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