Amparo, di Simón Mesa Soto

Segretamente rabbioso racconta con pochi tratti e immagini quasi distratte una società compulsivamente dedita alla corruzione. Dal Festival del cinema Africano, Asia e America Latina 2022 a Milano

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Elias è un giovane un po’ fragile, fannullone, ma in fondo buono, forse ha un piccolo ritardo, ha diciotto anni ed è legatissimo alla madre, quasi devoto. Amparo, sua madre, è una donna di 35 anni, lavora in una grande lavanderia e quando una sera tornando a casa non trova il suo Elias scopre che è stato preso dall’esercito e che finirà in una delle zone più calde del Paese. Sa anche che il suo sprovveduto Elias da quei luoghi non tornerà vivo. Il Paese è in preda alla corruzione e servono due milioni di pesos per tirare fuori suo figlio da quella situazione. Ma Amparo ha solo 24 ore di tempo per trovare quel denaro.
Il film, nel Concorso lungometraggi di questa edizione, era già stato in cartellone al Festival di Cannes 2021 dove ha raccolto premi secondari, ma che confermano le doti del suo regista. Il cineata colombiano, qui al suo esordio nel lungometraggio, sa dosare le emozioni e soprattutto sa lavorare intensamente sul suo personaggio, sulla sua bella Amparo, prototipo di donna moderna, autonoma e soprattutto volitiva e determinata. L’avere avuto due figli da due uomini diversi sottolinea anche la sua indipendenza sentimentale. Mesa Soto la segue e la stringe nei suoi primi piani, la pedina giorno e notte, la mette al centro della vicenda e la sua macchina da presa sembra escludere il mondo d’attorno, lavorando sul fuori campo, occupando il campo visivo esclusivamente con la quasi ossessiva presenza dei primi piani di Amparo. È un cinema segretamente rabbioso quello del regista colombiano che svela le sue doti narrative, ma anche la sua capacità di raccontare con pochi tratti, con fugaci immagini, quasi distratte, un intero mondo, una società compulsivamente dedita alla corruzione. Amparo che sembra avere disegnata sul suo volto, su quello della sua attrice Sandra Melissa Torres, l’impassibile adattarsi, il subire per necessità, non protesta e sceglie il silenzio come forma di filosofia esistenziale. Una condizione che non muta quando guarda al suo mondo, a quello degli affetti. Qui domina, invece, l’indifferenza, quella della madre che la offende per il suo fallimento esaltando il fratello, il figlio maschio che ha saputo fare i soldi, quella del suo nuovo amante che l’abbandona nel momento del bisogno, costringendola ad una solitudine che la spinge, senza altri mezzi, a barattare l’uso del suo corpo quale surrogato del denaro per salvare suo figlio.

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Amparo diventa così un’altra forte testimonianza che dal controverso mondo dell’America Latina, e il film e il suo autore non possono sottrarsi, nel definire i contorni di queste società sprofondate in un irrisolto vortice di violenza e corruzione, di degrado morale e di assenza di solidarietà, di dare voce e volto alle vittime a chi non può e non ha strumenti per cambiare direzione, finendo con l’alimentare il sistema e le sue regole.
La Colombia diventa emblema di questa condizione e la sua Amparo vittima di queste leggi. La guerra la fanno i poveri dice ad un certo punto un personaggio del film, uno dei tanti militari con cui la madre del debole Elias ha a che fare. Nulla di più vero e Mesa Soto ce lo mostra senza giri di parole, senza nulla addolcire, mostrando il sacrificio consapevole e dignitoso della sua Amparo. Quanto al giovane Elias, purtroppo è nato in uno dei posti più sbagliati del mondo, la sua fragilità e la sua diversità intenerisce lo sguardo, il suo volto scavato e impaurito sono lo specchio rovesciato di questa condizione di emarginazione ulteriore che spinge sull’orlo di un altro baratro chi non sa o non può adattarsi alla corruzione alla violenza.
Nel suo realismo misurato, nel suo pedinamento di vago sapore zavattiniano, Amparo racconta anche della remota, complessa e mai sopita voglia di rovesciare le regole, di mostrare per ottenere attenzione, di opporre una resistenza dignitosa e tenace come quella di Amparo. Ma poi si ragiona e si comprende che tutto è accaduto in quel clima corrotto e anche Elias e Amparo fanno parte di quel mondo chiuso, rispettoso dell’obbedienza ad una insanabile, perversa e superiore legge che sfugge ad ogni riforma e vale davvero per tutti, senza speranza e senza via d’uscita.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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