"Il giorno + bello", di Massimo Cappelli

L'avvicinamento al matrimonio come via crucis, la voglia di essere "diversi" da tutti col fantasma del Sessantotto a perseguitare e il conformismo moderno dietro l'angolo. L'esordio di Cappelli è piuttosto brillante e saccheggia dalla commedia americana come da Salce e Germi ma anche Ponti, D'Alatri e Muccino…

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C'è la via crucis in senso stretto con l'appropinquamento cristico al monte Golgota, quella che deve compiere il pendolare costretto a subire innumerevoli sbalzi di temperatura d'estate e d'inverno per giungere al posto di lavoro o quella per scalare le gerarchie e far carriera in un ambiente di "squali", quella dell'obeso che segna ogni kg in meno con una "tacca" sulla bilancia… nel film dell'esordiente marchigiano di nascita e romano d'adozione Massimo Cappelli si tratta dell'avvicinamento non programmato al matrimonio di Leo (Fabio Troiano) e Nina (Violante Placido), coppia apparentemente anticonformista che vive in una Trieste ben fotografata nella sua bellezza mitteleuropea da Raoul Torresi. E in questa opera prima che saccheggia la commedia americana classica (come pure quella odierna stile Ti presento i miei e sequel), Salce e Germi ma anche gli stessi contemporanei Ponti, D'Alatri (Casomai) e Muccino (L'ultimo bacio) riluce una certa brillantezza dialoghistica e situazionale: una per tutte la scena in cui Leo si reca a visitare uno zio malato, lodandone la capacità di essere riuscito a non farsi mai "incastrare" dalle donne facendosi sposare, e il vecchietto con un ultimo soffio di fiato "l'illumina" tragicamente rivelandogli che è "ricchione" (sic). Ma la freschezza si perde un po' per strada forse anche per colpa dell'eccessivo macchiettismo di un cinema ancora incerto e sostanzialmente acerbo che tende a disperdersi in una girandola, pur a tratti gustosa, di un cast/caravanserraglio in cui "sgomitano" per avere la propria striscia di fotogrammi i genitori sessantottini/figlideifiori/comunistoidi di Nina Shel Shapiro e Carla Signoris (molto più apprezzabile come sola voce della smemoratissima Dory nel capolavoro Alla ricerca di Nemo), il nervosissimo e intollerante padre Tito (Giorgio Colangeli) che chiama i fedeli "compagni" incapace di dimenticare l'attivismo politico del suo passato, Marco Manetti filmaker invasato e indipendente che si crede "il Kubrick dei filmini di matrimonio" o Luce Caponegro che non mostra salti qualitivi in avanti nella recitazione rispetto ai ruoli come pornostar Selen nei film hard. "Gratta il Pepito e troverai il Peppone" diceva Fernandel/Don Camillo a Gino Cervi/Peppone, vincitore "anagrammatico" di 10 milioni alla lotteria in Don Camillo monsignore… ma non troppo di Carmine Gallone e in Il giorno + bello, in definitiva, se gratti sotto la causticità graffiante trovi la carineria un po' "spuntata" dello stile "furbetto e piacione".

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Titolo originale: id.
Regia: Massimo Cappelli
Interpreti: Fabio Troiano, Violante Placido, Carla Signoris, Shel Shapiro, Marco Manetti, Luce Caponegro


Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 90'
Origine: Italia, 2006

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    "Il giorno + bello" di Massimo Cappelli

    Cappelli sa girare, eccome, azzecca i tempi, gioca con le maschere della tradizione italiana senza cadere nel clichè. Ecco il punto, le maschere: Cappelli sa farle funzionare da dentro, senza ricorrere a un semplice cambio di guardia, dando prova di una profonda riflessione sulla commedia

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    Trentenne, impiegato in banca, cresciuto in provincia, fidanzato con la passiva-aggressiva Violante Placido: come tutti i suoi coetanei cinematografici, Leo (Fabio Troiano) sembra toccato dalla buona sorte. Soprattutto, crede di essere padrone della propria vita; o almeno sino al momento in cui, inaspettatamente, la fidanzata gli chiede di sposarla. È possibile evitare le trappole del matrimonio tradizionale e dimostrare che un matrimonio diverso è possibile? Tra sorprese e ripensamenti, Leo si troverà alla vigilia della cerimonia senza capire se a prenderlo per il naso sia stata la fidanzata o un diabolico scherzo del destino. "Il giorno + bello", esordio nel lungomeggio del trentaseienne Cappelli, inizia maluccio, presagendo a un allarmante ritorno della medietà del cinema dei trentenni condito con un macchiettismo di lana assai grossa (l'amico ex sessantottino ricorda Antonello Fassari che ululava "i Pooh!" qualche anno fa). Con lo scorrere dei minuti, però, l'impalcatura del film inizia a cedere sotto i nostri occhi come le certezze di Leo; un'inquietudine che non ha nulla di generazionale prende ad aleggiare sullo schema della commedia matrimoniale americana, ma senza didascalismi a penalizzare il tono sognante e sornione. A circa un quarto d'ora dall'inizio arriva la scena della cena dagli amici in campagna, ed è un getto d'acqua fresca; Cappelli sa girare, eccome, azzecca i tempi, gioca con le maschere della tradizione italiana senza cadere nel clichè. Ecco il punto, le maschere: Cappelli sa farle funzionare da dentro, senza ricorrere a un semplice cambio di guardia come altri americanofili di casa nostra (è il limite del pur bravo Marco Ponti). L'impressione è che la sua riflessione sulla commedia sia già giunta a una certa maturità, debitrice comunque di una lunga esperienza nel cortometraggio (quattro, e di successo, soltanto quelli prodotti dalla Nuvola Film), e dall'apporto di Chiara Laudani, tra le migliori sceneggiatrici dell'ultima generazione. Fabio Troiano è bravo, la Violante recita (!), la reinvenzione di Shel Shapiro è geniale, la comparsata di Marco Manetti divertente. Resta l'amarezza di Leo e la sensazione di essere stati truffati dall'amore, o meglio dal proprio bisogno d'amore; ci torna in mente allora il finale moralistico de "L'ultimo bacio", il vago rimpianto che Carlo chiude nel cassetto, e siamo grati a Leo di aver seppellito il suo compare per sempre.

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