A Different Man, di Aaron Schimberg

Un thriller sulla contemporaneità nella strada tracciata dalla A24 dove resta la mostruosità di un cinema non più umano. Urla la sua autorialità ma è solo paccottiglia. BERLINALE74. Concorso.

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Dopo Dream Scenario, sembra esserci una direzione ben preciso della A24 per creare nuove forme di oscuri thriller sulla contemporaneità. La strada è quella tracciata da Ari Aster dove non c’è più nessun limite tra la realtà e l’immaginazione. Anzi, i pensieri soggettivi stravolgono la propria quotidianità, la smembrano in mille pezzi (e oltre) di un delirio.

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Edward è un attore newyorkese che si sottopone a un intervento chirurgico per cambiare l’aspetto deformato del proprio volto. All’inizio molte cose sembrano cambiare nella sua vita, a cominciare dal rapporto con Ingrid, la sua vicina di casa, un’attrice e drammaturga teatrale. Tutto sembra cambiare, ma in realtà nulla cambia. Le cose poi peggiorano da quando perde il ruolo a cui teneva moltissimo. La sua esistenza diventa un incubo e non riesce più a controllare la sua follia.

Dai sogni di Dream Scenario alle percezioni che gli altri hanno do noi di A Different Man, il cinema continua a interrogarsi sui limiti dell’intelligenza artificiale. Probabilmente lo stesso Aaron Schimberg, regista al terzo lungometraggio che è anche autore della sceneggiatura, si è autoconvinto che ormai la strada è quella per mostrare l’involontaria perdita di controllo, che deforma non solo il volto del protagonista Sebastian Stan con il trucco ma manipola anche tutte le possibilità sentimentali dove l’amore non è solo più freddo della morte ma è solo gelido esercizio passionale creato da un algoritmo. Come i sogni su Nicolas Cage, anche Edward non sfugge allo sguardo degli altri. Non è solo il suo volto che attira ma anche i suoi movimenti. C’è la mostruosità di un cinema che non ha più nulla di umano. Lynch (The Elephant Man) e Bodganovich (Dietro la maschera) sono ormai lontane meteore. Basta vedere anche la glacialità con cui viene filmato (e guardato da Edward) il vicino di casa che si è suicidato. Per guardare quello che c’è oltre quello che mostra, A Different Man perde di vista la storia che ha davanti e soprattutto disumanizza il bel personaggio di Ingrid dove la forza di un’attrice come Renate Reinsve (la protagonista di La persona peggiore del mondo con cui ha vinto la Palma d’oro come miglior attrice al Festival di Cannes) viene prima controllata poi snaturata come un esperimento chirurgico. A Different Man è un post Gondry venuto male, un Charlie Kaufman altrettanto presentuoso ma qui avariato, sommerso così dai suoi simboli (l’acqua dal soffitto, l’uomo mascherato da statua di Lincoln) e da una teatralità che guarda verso off Broadway senza averne né la ricerca né la sperimentazione. Borgli riesce a sprazzi a trovare una sottile ribellione alla sua concettualità che invece ad A Different Man non appartiene. Anzi si compiace così tanto del suo disegno teorico che urla la sua autorialità così forte che ci cascheranno in molti. C’è la (sola) forma ma in realtà è solo paccottiglia. Uno dei punti più bassi della A24.

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