“Acqua tiepida sotto un ponte rosso” di Shoei Imamura

Merito di Imamura è di essere riuscito ad intrecciare la favola, con l’aura lieve propria del racconto popolare, ad una riflessione tagliente e precisa sulla realtà, descritta con pochi ma puntuali tratti.

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Gioca con il senso imprevedibile del cinema Imamura Shoei, nel film “Acqua tiepida sotto un ponte rosso”. Commedia leggera e aerea che inizia nel chiuso della città, tra palazzi senza colore e una vita lontana da fantasia e magia, e si conclude nel bagliore di una luce viva e in movimento continuo. Viaggio lontano dalla metropoli, in fuga dalla quotidianità e, invece, alla ricerca di un segno per cambiare e capovolgere l’ordine delle cose. È quanto accade al protagonista, quarantenne rimasto all’improvviso senza lavoro e senza certezze, che, semplicemente, non torna a casa, non conclude la sua giornata facendola rientrare negli argini “normali” della sua vita. Deborda. Va, per così dire, fuori campo, allunga lo sguardo in quello strato di realtà che difficilmente è raggiungibile dal pensiero. La sua deviazione (e quella del film) diviene, allora, totale, l’eccesso si fa regola e le figure straordinarie che animano il piccolo villaggio sembrano avere il compito segreto di rivelarci il mondo a “testa in giù” messo in scena da Imamura. Pretesto di tutto è il tesoro, un piccolo budda d’oro dagli straordinari poteri, che si troverebbe nascosto in una casa in riva al fiume. Solo che la travolgente forza dei piccoli avvenimenti che si srotola sotto i nostri occhi, ci porta presto a dimenticare il motivo principale del viaggio, e a seguire gli incantesimi d’amore e i giochi di luce che questi producono. Luce che si confonde con/nell’acqua, che pare avere vita propria, in grado di parlare, ridere, piangere, riflettere i propri e gli altrui desideri. Figura-simbolo di tutto il film, che racchiude in se memoria, leggenda, calore, ardore, ma che è anche lo specchio in cui cercare (e trovare) le tracce dolci e amare di una precisa idea del Giappone e del mondo contemporaneo, dove viene ironicamente confinato un maratoneta africano che può soltanto correre e cantare un inno antichissimo alla madre acqua. Punire, ancora una volta, con eleganza pungente i diversi fuoricampo, della geografia e del tempo. Merito di Imamura è di essere riuscito ad intrecciare la favola, con l’aura lieve propria del racconto popolare, ad una riflessione tagliente e precisa sulla realtà, descritta con pochi ma puntuali tratti. Seguendo un ritmo incalzante e un andamento che privilegia la sorpresa, la destabilizzazione, l’irrazionale.Titolo originale: Akai hashi no shita no nurui mizu
Regia: Shoei Imamura
Sceneggiatura: Shoei Imamura, Motofumi Tomikawa, Daisuke Tengan dal romanzo di Yo Henmi
Fotografia: Shigeru Kamatsubara
Montaggio: Hajime Okayasu
Musica: Shinichiro Ikebe
Scenografia: Hisao Inagaki
Interpreti: Mitsuko Baisho (Mitsu Aizawa), Mansaku Fuwa (Gen), Misa Shimizu (Saeko Aizawa), Koji Yakusho (Yosuke Sasano), Kazuo Kitramura (Taro), Isao Natsuyagi (uomo Masayuki), Yukiya Kitamura (uomo Shintaro)
Produzione: Hisa Iino per Nikkatsu Corporation/Imamura Production/Eisei Gekijo/Maru Limited
Distribuzione: Bim
Durata: 129’
Origine: Giappone, 2001

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