All We Imagine As Light, di Payal Kapadia

Leggero e delicato racconto spaziale di Mumbai e dell’India attraverso gli occhi di due donne, le loro speranze ed il loro bisogno d’amore, dentro una realtà in continua mutazione. CANNES77. Concorso

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Le linee di Mumbai compongono il mosaico complesso realizzato dalla Kapabia per esplorare e scoprire la realtà da cui è circondata. Linee mobili, il frenetico disegno in mutazione verso un avvenire ignoto, la città popolata in maniera inverosimile, dove gli abitanti provano a galleggiare sul flusso, trasportati dalla massa impossibile da fermare. Nei suoi cambiamenti speculativi si riconoscono i connotati di un paese difficile da decifrare, privo di verità inconfutabili, a volte schiacciato dalla tradizione per il costume retrogrado, pulsante di energie, pieno di baracche limitrofe ai grattacieli, sedi privilegiate dell’alta finanza. Poi da lì arrivano lo spiritualismo, la meditazione, quello sguardo delicato di disincanto della regista, muta e partecipe. Un ulteriore passo avanti nel dispositivo di A Night of Knowing Nothing, presentato alla Quinzaine des cinéastes del 2021, dal quale eredità gli strumenti, la comunicazione testuale e l’attenzione dei particolari, delle fratture, dei moti di protesta impercettibile, centrando il fuoco sui passi di due donne, spostate dall’onda di un destino comprensibile soltanto in un’ottica collettiva. Un lavoro nel quale confluisce l’approccio documentaristico intimo dei primi cortometraggi, Afternoon Clouds e And What Is the Summer Saying, ampliato e sintetizzato nella somma sinfonica di un ritratto ancora politico dell’India di Narendra Modi. Uno sguardo personale eppure ancorato ai nomi classici del cinema asiatico, dal padre tutelare Ray alle apparizioni fantasmatiche di Wong Kar-wai, a cui si avvicina nella sua leggerezza mai superficiale.

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Le storie di Prabha (Kani Kusruti) e di Anu (Divya Prabha) sono intrecciate: sono infermiere e vivono sotto lo stesso tetto. Prabha ha un marito, partito per recarsi in Germania dopo il matrimonio, scomparso del nulla per anni, e che improvvisamente si rifà vivo inviandole un pacco. Una donna introversa, chiusa nelle proprie emozioni e in un pudore che si manifesta in ogni suo gesto. Anu è giovane, più aperta ed impegnata in una relazione impossibile con Shianti per la loro diversa confessione religiosa, lei induista, lui appartenente ai seguaci del profeta Maometto, cioè musulmano. Un problema, tuttavia non sufficiente a tenerli lontani da una passione che non riescono a consumare mai fino in fondo. È con loro che All We Imagine As Light diventa un film di viaggio, e qui la similitudine porta ovviamente al magnifico Jia Zhang-ke, Caught by the Tides, nel loro continuo muoversi nella città con i mezzi pubblici, confuse nel tramestio di rumori ed esistenze, dalle stanze dell’ospedale fino alle strade che non dormono mai, un viaggio urbano, il tempo che scorre sulle rotaie di un tram  e fugge via inarrestabile verso la notte e si confonde con le luci che baciano il buio. Completa il cast delle interpreti Parvaty (Chaya Khadd), cuoca dell’ospedale, una vedova rimasta dopo anni senza casa, sfrattata senza troppi riguardi da una compagnia interessata a costruire un nuovo complesso residenziale, e che decide di tornare al villaggio natale, vicino al mare ed alle sue origini. E così il viaggio si sposta verso la costa, al traffico si sostituisce lo sciabordio delle acque, ed in mezzo alla natura lussureggiante l’arco narrativo trova la sua definizione.

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L’amore mancato, l’amore impossibile, l’amore sepolto in una bara, come per il lutto cronenberghiano dell’ultimo magistrale The Shroud, l’amore agognato, l’amore unica risposta possibile alla morte. All We Imagine As Light è anche questo o forse è soprattutto questo. Problema e rimedio, il punto fermo attorno a cui tutto ruota. Un film che per la regista indiana dimostra già una maturazione ed un conferma, risulta originale ed autentico, ancora spontaneo e pieno di curiosità ed apprensione. Riflette in discorso storico e sociologico l’India contemporanea e la riporta nel concorso principale di Cannes, dove era assente dal 1994, quando a calcare il tappeto rosso fu Swaham di Shaji N. Karun.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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