"Altro che revisionismo, "Laissez Passer" è un inno alla resistenza!" – Intervista a Bertrand Tavernier

E' gentile, disponibile e, soprattutto, polemico Bertrand Tavernier giunto a Roma in occasione dell'uscita italiana del suo ultimo lungometraggio "Laissez-Passer". Un'intervista che diviene anche occasione per parlare e riflettere, oltre che sulla passione per il cinema, anche sulla necessità di ognuno ad essere partecipe del proprio presente.

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In Laissez-Passer si ritrovano le vostre "ossessioni" di sempre: la storia, il cinema, la resistenza…. Questo film lo portava dentro da parecchio tempo?

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E' sicuramente da molto tempo che avevo intenzione di trattare un soggetto del genere, guidato dalle dirette testimonianze dello sceneggiatore Jean Aurenche e dell'aiuto regista Jean Devaivre. Mi appassionava l'idea di vedere come delle persone che facevano il mio stesso mestiere hanno potuto artisticamente sopravvivere in un periodo così delicato. Ho voluto girare questo film proprio per fare questo genere di scoperta, per trovare delle risposte alle molte domande che mi sono sempre posto. Se è vero che le circostanze politiche influenzano la vita di ognuno, mi sono chiesto in che modo io stesso avrei reagito nelle medesima situazione. Con questo film intendo omaggiare la memoria e il coraggio di persone che ho conosciuto e amato, verso le quali porto rispetto e ammirazione.


Laissez-Passer prosegue l'elogio, attraverso la sua diretta messa in scena, della figura dell'artista iniziata con il pittore di Un dimanche à la champagne. La pellicola vuole anche essere un film sull'arte come resistenza?


Assolutamente si. Provo sempre una profonda ammirazione per tutti quegli artisti che hanno dato prova di una grossa dignità e di un grosso senso di responsabilità come creatori. Negli stessi film prodotti dalla Continental vengono affrontate delle tematiche molto delicate che mirano a tenere alto il senso critico dello spettatore, proprio il contrario di quello che avrebbero voluto i dirigenti nazisti. L'arte dovrebbe sempre essere uno stimolo per l'intelligenza e la curiosità dell'uomo. Anche nei momenti più bui della Storia l'intelligenza umana si è ingegnata, attraverso la creazione di opere artistiche, al fine di assicurare la libera circolazione del pensiero. Se durante l'Occupazione il cinema italiano obbediva ciecamente al regime fascista, il 98% della filmografia francese disobbediva al regime di Vichy.

All'inizio della lavorazione era cosciente del fatto che la pellicola avrebbe avuto una tale struttura romanzata?


Innanzitutto avevo voglia di fare un film che fosse soprattutto libero e molto differente dai film dell'epoca della Continental, i quali si basavano essenzialmente su di un solo intreccio. Un film che cambiasse continuamente di tono passando, anche all'interno di una stessa sequenza, dal dramma alla commedia, dalla farsa all'emozione. Ma soprattutto ho voluto realizzare un film basato su un principio apparentemente molto semplice ma che rappresentava una sfida per me e per il mio cosceneggiatore Jean Cosmos, ossia raccontare una storia con due protagonisti che non si incontrano mai. Due personaggi assolutamente opposti ma tutta via complementari, i quali incarnano una diversa forma del medesimo spirito della Resistenza. Poi sta allo spettatore sentire il dialogo esistente tra i due, capire come i dubbi dell'uno vanno ad alimentare le certezze dell'altro. Volevo anche evitare di fare un film storico in cui la regia ispirasse tutte le risposte che sono poi sono state date a posteriori.  



In Francia l'uscita del film è stata accompagnata da polemiche che l'accusavano di riabilitare coloro che hanno lavorato per la Continental.


Credo che sia assolutamente evidente che Laissez-Passer sia un film sulla Resistenza dal momento in cui uno tra i protagonisti decide di sostenerla fin dal principio, prima ancora dell'appello di De Gaulle. Mio padre ha partecipato alla Resistenza come combattente. Le critiche più aspre sono arrivate da tre, forse quattro, critici e per di più parigini; il restante 90% della stampa ha avuto parole lodevoli per il mio film. Attualmente in Francia, per fortuna, non esiste nessuna legge che vieta ai critici cinematografici di dire delle stupidaggini e di sbandierare la propria ignoranza. Allo stesso modo quando ho letto che il film è un attacco contro la nouvelle vague, mi sono scoperto scisso tra la costernazione e il sorriso ironico. Credo che lo scopo di un'artista sia anche quello di cercare di comprendere le azioni e le motivazioni di chi sostiene teorie opposte. Forse è proprio questo che fa la differenza tra i registi ed i critici cinematografici, per lo meno quelli francesi. Laissez-Passer è stato presentato anche in America, dove Salman Rushdie ha vissuto il film come un inno alla Resistenza.

Laissez-Passer è uscito in patria tre settimane dopo la dichiarazione di Jean-Marie Messier sulla fine dell' "exception culturelle" francese. Come vede il futuro della cinematografia nel suo paese?


Jean-Marie Messier ha lasciato il mondo dell'audiovisuale in uno stato di totale rovina mentre, al sua arrivo, aveva trovato una situazione molto solida e prospera. La sua arroganza, tipica di crede solo nel potere del denaro, ha contribuito a distruggere questo mondo, unita alla presunzione dei funzionari francesi che escono dal ministero del Tesoro che credono di poter colonizzare l'America, e rispetto ai quali i politici di tutti gli schieramenti si sono dimostrati solo pieni di ammirazione. Credo che il cinema francese, produttore fino ad oggi di pellicole intelligenti, interessanti e stimolanti, pagherà la sufficienza e la nullità artistica di un uomo che rappresenta tutto quello che io personalmente detesto.   


Cosa non le piace del cinema italiano contemporaneo?


Purtroppo lo conosco molto male per il semplice motivo che in Francia molti dei vostri film non escono al cinema. Ho qualche ricordo di registi contemporanei come Martone ma non molti altri. E' strano perché mi ricordo perfettamente che fino alla fine degli anni '70 moltissime pellicole italiane venivano distribuite, mentre ora sono una vera rarità nelle nostre sale. Ho visto l'ultimo Olmi, Il mestiere delle armi che è uscito nelle sale per cinque giorni e che ho trovato austero ma notevole. E' curioso quanto la Francia e l'Italia, due paesi che in passato hanno molto collaborato per la promozione delle rispettive filmografie, siano oggi divenuti, a causa dei loro politici, cinematograficamente lontani. Conosco molti cineasti francesi che hanno debuttato negli anni '60 grazie ad una importante coproduzione italiana. Mi sono spesso chiesto come due paesi si possano ora ignorare quando sono stati così vicini e complementari. Mi auguro che l'Italia, anche attraverso un valido ministro della Cultura che si batta per la salvaguardia del suo patrimonio cinematografico, possa tornare ad essere universalmente riconosciuta nel campo del cinema.

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