BERGAMO FILM MEETING 25 – Jan Sverak, il falsario

La retrospettiva del regista ceco Oscar per "Kolja" ci fa scoprire in Sverak un vero 'falsario' in senso deleuziano, a partire dal finto documentario scientifico d'esordio, "Ropaci", sino all'opera dedicata alla carriera artistica del padre Zdenek,"Tatinek", passando dal fondamentale "Akumulator 1", film sull'immagine doppia che vive dietro lo schermo

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Jan Sverak è un talento visionario. Una sorta di Ivan Reitman ceco. Più o meno. Comunque, è l'uomo, il regista, classe 1965, che ha realizzato il film più costoso della storia della Repubblica Ceca, Akumulator 1 (1994) va da sé, resta ancora oggi il suo film migliore, il suo capolavoro. E poi sì, è anche l'autore di cult generazionali come Scuola Elementare (1991) e Jìdza (La corsa, 1994 – è un road-movie, in patria raccoglie schiere di fans devoti). E' quello che molto spesso gira film scritti dal padre, o col padre, e/o in cui il padre recita: due esempi, i suoi exploit hollywoodiani Kolja (1996, Oscar per il Miglior Film Straniero), e Dark Blue World (dispendioso flop aviobellico del 2001). Il padre è Zdenek Sverak, Grande Vecchio del mondo dello Spettacolo Ceco (è nato nel 1936), attore di teatro, drammaturgo, scrittore, sceneggiatore, cantautore – una vera e propria star, di cui Jan si porta addosso da sempre il fardello. Nel formidabile Akumulator 1, Zdenek, che il film l'ha scritto, insieme al figlio e a Jan Slovak, recita in una parte secondaria, quella del dottore fuori-di-testa che insegna al protagonista Olda come catalizzare su di sé tutta l'energia dispersa nell'aria per poi riuscire ad utilizzarla a piacimento. Il ragazzo ha il volto di Peter Forman, figlio di Milos. Si scopre però ben presto che tutta l'energia che il nostro eroe si porta addosso, gli viene subito e completamente risucchiata da ogni apparecchio televisivo acceso che si trovi nelle vicinanze: una volta Olda è apparso in tv, in una intervista "presa dalla strada", e da allora l'immagine suo doppio che è rimasta impressa e che ora vive dietro lo schermo, nel mondo della televisione, ha bisogno dell'energia del suo corrispettivo in carne ed ossa per spassarsela attraverso il palinsesto. Ed ecco che Jan Sverak tira fuori un film straordinario dove si capisce la verità ultima sul nostro essere il doppio in carne e fluidi vitali dell'immagine che ci proietta, la quale possiede vita propria al di là e indipendentemente da noi, se la stiamo guardando o no (l'immagine che ci crea), dietro e oltre la 'facciata' dell'inquadratura. In questo sembra allora paradossalmente vicinissimo ad un film 'di intrattenimento' come Akumulator 1 proprio il documentario che Sverak ha dedicato alla figura del padre Zdenek, Tatìnek (2004, "Papà" – ultimo lavoro di Jan che è possibile vedere in Italia, in attesa del nuovissimo Vuoti a rendere già in sala nella madrepatria): si tratta bene o male sempre di fare i conti con un doppio (il proprio?).

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Sverak lo mette subito in chiaro, inserendo nel lavoro, che per il resto segue in tutto i parametri del documentario biografico, degli inserti 'di fiction' con fotografia ultrapatinata che il regista utilizza per mettere in scena i ricordi di gioventù di Zdenek – un vero e proprio salto mortale dell'immaginario della mdp, accensione sensoriale che altrimenti i nostri occhi registrano nell'opera altre volte per altre ragioni, come una litigata tra i due Sverak per l'ennesima 'aggiustatina' alla sceneggiatura di Dark Blue World, ritoccata per ben dieci versioni, o i filmati amatoriali di padre e figlio a Hollywood in occasione della vittoria di Kolja (in cui sembra che l'Oscar a vincerlo sia stato Zdenek…). Da questo punto di vista Jan Sverak si dimostra allora un vero falsario, nell'accezione più prettamente deleuziana del termine (cfr Le potenze del falso, ne L'immagine-tempo), e non in quella negativa di chi rimproverava a Kolja tutto un facile sentimentalismo studiato a tavolino: tutt'altro – Jan Sverak sembra sempre parlarci dello scollamento che avviene in noi spettatori nell'istante in cui siamo colti a diventare immagine, indi simulacro di verità sempre modificabili, impossibilità dell'immagine di combaciare perfettamente con la sua proiezione nel mondo. E già Ropaci (1988, Oscar per il Miglior Film realizzato da uno Studente di Cinema), cortometraggio d'esordio che è stato possibile rivedere al Bergamo Film Meeting, era stato premonitore: finto documentario scientifico ultraserioso sulle abitudini di una strana specie di animali (inventata e realizzata con effetti speciali homemade dal regista) che si nutre di benzina, scarti industriali e aria inquinata, e che prospera in una zona particolarmente 'disastrata' dal punto di vista ambientale della Boemia, il film mette in luce tutta una serie di trovate economiche ma efficacissime ed esilaranti che anticipano di quindici anni l'approccio di Wes Anderson nel suo Le avventure acquatiche di Steve Zissou. Segno che Jan Sverak è un autore sì ancorato alla sua terra e alla sua gente, ma capace negli anni di portare un forte richiamo internazionale sulla cinematografia ceca contemporanea, nonché in grado di dare del filo da torcere alle produzioni di Hollywood (che un film come Akumulator 1 non lo tira fuori da anni…) – Hollywoodland, la patria di tutti i falsari.

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