BERGAMO FILM MEETING 26 – "Olho Negro (Goodnight Irene)", di Paolo Marinou-Blanco (Concorso)

goodnight ireneDopo la vendetta di Marcel Duchamp che torna dal mondo dei morti per punire gli intellettuali arroganti del ventesimo secolo, le avventure di tre personaggi sradicati che vivono a Lisbona, smarriti in appartamenti facili da abbandonare, in cui le porte sembrano non esistere se non per essere continuamente spalancate nella ricerca di un abbraccio da rubare all’altro. Anche quando l’altro è il vecchio stanco che ci guarda dallo specchio.

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goodnight irenePaolo Marinou-Blanco, per metà greco, 36 anni vissuti tra Londra e New York, collaboratore per Sucker Free City di Spike Lee, gira il suo lungometraggio d’esordio con con uno sguardo piuttosto “straniero” – forse troppo – rispetto al territorio portoghese, scegliendo anche come protagonisti tre personaggi sradicati, dispersi, che imprecano e si manifestano un affetto ruvido e tentennante in 3 lingue diverse, ognuno dei quali disconosce famiglia e punti di riferimento (che sia per il distacco emotivo, o per il lutto), ma tenta anche goffamente di avvicinarsi all’altro, almeno per creare quella “illusione di movimento” che consente non solo di sopravvivere, ma di cercare ancora un brivido di passione in grado di giustificare l’offesa del tempo che passa. Della visione della vita erotica, e spesso sarcasticamente funerea del cinema portoghese, Marinou-Blanco conserva un’ironia sincera. Il pretesto per parlare del tempo – e di come si possa toccare una Irene qualunque dal sorriso troppo misterioso per non suggerire se stessa come uno scossone, attraverso un incontro casuale, facendone la ricerca della vita, è la relazione furibonda e comica, insieme filiale, amorosa e alcolica tra una giovane donna che cerca di catturare almeno un briciolo di realtà attraverso i ritratti e due uomini ossessionati non tanto dalla sua presenza momentanea, che ha spalancato una possibilità di esistenza, quanto dalla sua fuga improvvisa verso una Spagna immaginaria: un ragazzo che ruba timidamente scampoli di memorie altrui dalle case dei vicini, specialmente quando muoiono e si fa il deserto – arredando così un altare da tenero killer nel retro del suo negozio di ferramenta, e un ex attore teatrale, non più giovane, che non si trastulla occasionalmente con la misantropia, ma ne ha fatto una scelta consapevole – e piuttosto condivisibile, costretto in una cabina del suono a doppiare improbabili spot pubblicitari per agenzie di viaggio – è bellissima l’immagine iniziale del film, in cui lo vediamo imprigionato nella cabina del suono e contemporaneamente su una distesa di sabbia meravigliosa con due corpi giovani e felici, nel sogno che è destinato a commentare per gente avida di spiagge incontaminate e in quello che poteva essere stato della sua vita, ora ammaccata e sorretta da pillole “troppe o troppo poche”, dal bere e da un cinismo inflessibile – è chiaro che l’intellettuale sente mancargli la terra sotto i piedi, e il suo pensiero, se torna a Cechov e a Shakespeare, è soltanto per ribadire a se stesso che il suo corpo si sta decomponendo, e che ci si trasforma non nella versione saggia e vissuta di sé, ma in un altro, quel vecchio che ti guarda al di là dello specchio, sconosciuto e incomprensibile, capace solo di gridare a un mucchio di cani nella notte che si avvicinano come avvoltoi: Non sto ancora morendo! Ma Marinou-Blanco cerca anche, di non indulgere troppo sulla propria formazione (innegabilmente filosofica), non si preoccupa, per fortuna, di essere troppo diligente, e lascia che i suoi due eroi si lascino andare a sbronze catartiche e rumorosi abbandoni, in cerca di un abbraccio anche solo temporaneo; e lascia parlare questi abbracci assai più che la riflessione cerebrale, sganciandosi volentieri dal ruolo di regista cerebrale, immagine di cui precedentemente a Goodnight Irene si prende allegramente gioco con il corto The curse of Marcel Duchamp, in cui colui che ha fatto di un orinatoio il simbolo dell’avanguardia torna dal mondo dei morti per punire i pretenziosi pittori moderni della Grande Mela, imprigionandoli in ascensore e costringendoli a giocare a scacchi per l’eternità…

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