BERLINALE 57 – "El Camino de los Ingleses", di Antonio Banderas (Panorama)

“La via è lunga e il cammino è malvagio”: da questo passo dell'Inferno dantesco si dipanano le vicissitudine dei protagonisti del secondo film da regista di Antonio Banderas, un'opera forse immatura e ridondante ma con una voglia pazza di sentirsi vivi, dopotutto…

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Sette anni dopo "Crazy in Alabama", Antonio Banderas torna dietro la macchina da presa per raccontare come si diventa adulti, o meglio, di come un gruppo di ragazzi spagnoli dice addio alla giovinezza.

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Le intricate vicende di Miguelito, appena dimesso dall'ospedale per un'operazione ad un rene e col sogno di divenire un poeta, di Luli, aspirante ballerina in rotta con la famiglia (interpretata dalla bellissima María Ruiz che è davvero destinata a diventare la nuova icona del cinema caliente), di Babirusa, del ricco Paco e del giovanissimo Moratalla sono al centro di questo ritratto generazionale, forse oltremodo contorto, ma con una disperata necessità di raccontare un'era e di sentirsi vivi, dopotutto.


Lo stile di regia a dir poco barocco di Banderas, con i suoi arditi movimenti di macchina e le sue repentine escursioni oniriche, di certo non donano alla pellicola quella leggerezza che forse avrebbe necessitato, ma del suo racconto non si scorderanno facilmente quell'atmosfera struggente e malinconica con cui è condito il film né alcune sequenze in cui abbonda il virtuosismo dell'autore (così come una scena dal forte impatto erotico che davvero colpisce per la sua torbida anima voyeuristica).  


Non è difficile, dunque, immaginarsi nei panni di questo o di quell'altro personaggio anche perchè la sceneggiatura, tratta dall'omonimo romanzo di Antonio Soler che ha curato anche l'adattamento cinematografico, cura nei dettagli anche i personaggi minori. Certo, lo sviluppo narrativo procede in maniera alquanto prevedibile, ma anche questa caratteristica sembra non sfuggire di mano a Banderas che, anzi, costruisce proprio su questa prevedibilità una ballata sul destino, sull'impossibilità di uscire dai meccanismi già scritti della vita. E anche l'esagerata e a volte invadente presenza della voice over si può analizzare come spirito guida del film, ed è forse proprio la voce del fato a guidare e a raccontare le gesta dei protagonisti, in quello che era il ruolo del coro nelle tragedie greche.


Ma l'estate nel Camino de los Ingleses è più che una tragedia greca, è la raffigurazione di un girone dantesco, ove ognuno è dannato e dovrà espiare le proprie colpe: e se per i giovani le speranze sono ridotte al lumicino, e neanche l'amore sembra poterli salvare, molto peggio va al mondo degli adulti, sempre più imbastarditi dalla vita e portatori di un insano disprezzo verso i valori.

Un'estate struggente e folle, dove da un telefono inalscoltato provengono dolci parole d'amore: "Miguelito, Miguelito…te quiero". Ma nessuno ascolta e quella dichiarazione fugge via portata in braccio da una calda brezza marina…

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