BERLINALE 58 – "Feuerherz/Heart of Fire", di Luigi Falorni (Concorso)

Reduce dal sorprendente successo planetario del suo La storia del cammello che piange, codiretto con la regista mongola Byambasuren Davaa, il fiorentino (ma ormai trapiantato in Germania) Luigi Falorni esordisce in quello che è un vero e proprio film di finzione, presentato in Concorso alla 58a. Berlinale. Ma il passo tra il melodoc che era arrivato ad un passo dall’Oscar e questo Heart of Fire non è poi così marcato…

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Reduce dal sorprendente successo planetario del suo La storia del cammello che piange, codiretto con la regista mongola Byambasuren Davaa, il fiorentino (ma oramai trapiantato in Germania) Luigi Falorni esordisce in quello che è un vero e proprio film di finzione, presentato in Concorso alla 58. Berlinale. Ma il passo tra il melodoc che era arrivato ad un passo dall’Oscar e questo Heart of Fire non è poi così marcato: portando in scena la storia (vera?) della cantante tedesca di origini eritree Senait Ghebrehiwet Mehari, Falorni infatti conferma di essere più interessato a caricare i suoi film di sensazioni piuttosto che di corpi, di emozioni piuttosto che di narrazioni. Non vorremmo entrare molto nel merito delle polemiche che hanno accompagnato l’arrivo del film qui a Berlino, più che altro perché ci sembra davvero che la storia della piccola Awet mandata alla guerra sia per il regista solo un canovaccio su cui impostare poi il resto del film. Polemiche scatenate dal fatto che il libro da cui è stata tratta la pellicola (scritto dalla stessa cantante ed ispirato alla sua storia di baby-soldato nell’Eritrea di inizio anni Ottanta) sembra sia essenzialmente un falso (un pò come il celebre caso
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di Norma Khouri, autrice di un bestseller su un delitto d’onore in un paese arabo, rivelatasi poi tutt’altra persona come ha sapientemente mostrato il documentario Forbidden Lies presentato all’ultima Festa di Roma). Il boicottaggio eritreo, e il conseguente rischio di venire estromesso dal Concorso, ha spinto Falorni in conferenza stampa a cercare di stemperare i toni. Ma forse sarebbero state altre le considerazioni da fare a margine di questo film, dall’inutilità di questa storia romanzata fino all’inverosimile, a questo propugnare un cinema da fiction che gioca il suo potenziale mostrandolo tutto, senza cesure, accecando dunque un altro possibile sguardo. Eppure, finchè un’ostinata drammatizzazione non prendesse possesso di tutto lo spazio filmico, la pellicola di Falorni sembrava riuscire a barcamenarsi in un terreno, sì inflazionato, ma quantomeno sincero, con una correttezza anche estetica da non sottovalutare: in sostanza, in Heart of Fire si riscontrano quei pregi e soprattutto quegli stessi difetti che possedeva La storia del cammello che piange, nè più nè meno. Nel bene e nel male si tratta di una conferma…

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