BERLINALE 65 – Ghiaccio sul set. Incontro con Isabel Coixet e Juliette Binoche

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Io credo che tentare di vivere girando film oggi, in un'epoca in cui essere dei cineasti non è più così rilevante, sia una strada piena di buche. Io non voglio la strada spianata, ma pretendo lo stesso numero di buche di un regista maschio. Isabel Coixet inaugura il festival con la storia mai narrata della moglie del primo conquistatore del Polo Nord, Nadie quiere la noche

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http://www.panoramaaudiovisual.com/http://www.sentieriselvaggi.it/wp-content/uploads/2015/01/Nadie-quiere-la-noche.jpgLa conferenza stampa del traballante film di apertura di Berlino 65, Nobody wants the night (Nadie quiere la noche), è per buona parte lo stand up di Isabel Coixet. Completamente a proprio agio in un festival che la accoglie oramai come una cineasta di famiglia, la regista in giubbotto nero da performer monologante newyorkese spara punch lines come fosse Sarah Silverman: "come faccio a girare a ritmi così elevati? forse in realtà ho il pisello!" 
La questione di gender, centrale in tutta la sua produzione, ritorna spesso nelle domande dei giornalisti ("che noia parlare delle problematiche di gender", sbotta Coixet, "il film parla da sé, le protagoniste hanno la vagina!"), insieme alle difficoltà a farsi portare il caffé in Norvegia o in Bulgaria, i due Paesi che hanno coprodotto il film ("Bulgaria ok, Norvegia bocciatissima").

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In realtà, c'è spazio anche per riflessioni più pacate sul senso del film: "lo script mi sembrava il più bello che avessi mai letto, e ho pensato che in un modo o nell'altro sarei riuscita a realizzarlo, a raccontare la storia della conquista del Polo Nord dal punto di vista di Josephine, la moglie dell'esploratore Peary, che nessuno aveva mai mostrato. Sognavo di lavorare con Gabriel Byrne, e in mente avevo questo connubio strano tra Jack London e Nanook of the North, anche se in verità mi sono permessa di modificare la voce narrante, che nello script apparteneva a Josephine/Binoche, con quella di un narratore uomo…"

E qui torniamo però alla diatriba sui sessi…

Coixet: Cosa volete che vi dica? Io credo che tentare di vivere girando film oggi, in un'epoca in cui essere dei cineasti non è più così rilevante, sia una strada piena di buche. Io non voglio la strada spianata, ma pretendo lo stesso numero di buche di un regista maschio, mettiamola così.

Juliette Binoche, come è andata col freddo estremo delle riprese al Polo?

Binoche: la verità è che abbiamo girato solo dieci giorni di esterni, per via delle ristrettezze del budget, e tutto il resto in studio. E in studio faceva caldissimo! Ho dovuto far parcheggiare un camion con cella frigorifera fuori dal set, e prima di girare mi ci chiudevo dentro per qualche minuto: perciò sono molto contenta che i brividi si sentano sullo schermo! Ho letto i libri scritti da Josephine Peary, ma lo script è stata la fonte più importante. Isabel in questo film mi sembrava dipingere con la macchina da presa, usarla come un pennello, a me e Rinko non restava che attraversare il suo disegno, avvicinandoci sempre di più tra di noi nel corso del film, sino a diventare quasi la stessa persona. Il mio personaggio all'inizio si mette in mostra come un pavone, ma alla fine somiglia più ad un cane, costretta per sopravvivere a stare a quattro zampe nel claustrofobico igloo.

Rinko Kikuchi: è per questo che non vedevo l'ora di lavorare di nuovo con Isabel, dopo l'esperienza di Map of the sounds of Tokyo. Per me è stato molto importante riuscire a raccontare questo personaggio inuit in maniera veritiera nei movimenti, nei sentimenti, negli occhi: oltre al consulente inuit che avevamo sul set, mi ha aiutato decisamente incontrare una ragazza inuit che somigliasse per purezza al mio personaggio.

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